Veritas numquam perit
Data: 8 Dicembre 2023
Tag: Cultura
Di: Irene Arneodo e Anita Riccardi
“Tante volte avere il tesserino, che sia da pubblicista o da professionista, non fa di una persona un giornalista, nel senso che sovente ci si imbatte in pennivendoli sgrammaticati amanti del denaro e della notorietà facile. Essere Giornalista è qualcosa di altro. E’ sentire l’ingiustizia del mondo sulla propria pelle, è schierarsi dalla parte della verità, è denuncia, è ricerca, è curiosità, è approfondimento, è sentirsi troppe volte ahimè spalle al muro, emarginato. Essere Giornalista significa farsi amica la paura e continuare sulla propria strada perché raccontando si diventa scomodi a qualcuno. Le parole, mi è sempre stato detto, feriscono più di mille lame, pungolano le coscienze, sono inviti alla riflessione e alla lotta, teoria che diviene prassi quotidiana di esercizio della libertà”.
-Giancarlo Siani
Non c’è un’atmosfera leggera. Forze dell’ordine in qualsiasi uniforme e cani anti-esplosivo riempiono, esterno e interno, il Teatro al Parco nella sera del 18 novembre, garantendone la sicurezza per l’arrivo di lui, Roberto Saviano. Testimone vivente della potenza senza eguali, straordinaria e terrificante, della parola, scritta e pronunciata, veicolo di quella che è sempre stata e rimane la più grande minaccia al potere, non solo criminale: la Verità.
Lui è riuscito a dirla, la Verità sul potere mafioso in Italia, è stato tra i primi. L’ha ricercata, l’ha scavata, l’ha studiata, l’ha argomentata. E soprattutto ha trovato il modo di restituirla, fornendo attraverso la sua scrittura gli strumenti necessari non solo a vederla, ma a comprenderla. La chiave di lettura che non renda semplice ciò che è complesso, ma che lo renda visibile e leggibile, perché la Verità, innanzitutto, deve essere letta.
L’ha scritta, insomma. L’ha messa a disposizione di tutti. E ne sta pagando le conseguenze da tutta la vita. Perché come un regime dittatoriale punisce con la morte i suoi dissidenti, la criminalità organizzata, “Stato nello Stato”, fa lo stesso.
Non ne è valsa la pena. Lo dice lui stesso. Ma chi rischia la vita per un racconto, chi la perde in nome della Verità, non lo fa come risultato di una scelta calcolata e consapevole.
C’è qualcosa, Socrate lo chiamerebbe demone, che aiuta chi lo asseconda e trascina chi prova a fermarlo, qualcosa che conduce, inesorabile e incontrastato, a scelte dettate non dalla ragione ma dalla coscienza, a cui è impossibile ribellarsi.
“Gomorra”, prima ancora che i potenti capi della Camorra, ha fatto tremare le coscienze di migliaia di persone, dimostrando, in un Paese assuefatto all’ingiustizia e all’omertà, che alzare la propria voce in nome della Verità, non è solo possibile, ma è dovere civico di ogni cittadino e dovere morale di ogni essere umano.
In un mondo quale è quello di oggi, in cui gli intellettuali sono attaccati da politica e società, i cittadini sono disillusi e pervasi da un senso di impotenza e il dibattito pubblico è superficiale, polarizzato e propagandistico, è molto più semplice vivere, e vivere serenamente, piuttosto che votarsi alla ricerca di una Verità astratta, di cui spesso non si riconosce nemmeno l’esistenza, figuriamoci il valore.
Il ruolo del giornalista che ricerca la Verità, indispensabile per la creazione di un’idea di giustizia, richiede una grande fatica sia da parte di chi è intento a ricercare sia da chi queste informazioni le riceve. La Verità infatti ci pone degli interrogativi. E subito dopo degli imperativi. È una presa di coscienza che obbliga a fare delle scelte, che non lascia spazio all’indifferenza. Informazione da cui è impossibile nascondersi, a cui segue necessariamente azione da cui è impossibile sottrarsi.
In questo quadro la scrittura, e più in generale l’arte, si fa strumento fondamentale non solo per raccontare il Male, ma per combatterlo. La scrittura è sensazione che diventa azione, motore per smuovere le coscienze da cui può partire il cambiamento. Chi scrive deve essere in grado di mettere le mani nel sangue del suo tempo, di mettere sotto pelle al lettore che ciò che sta leggendo lo riguarda, fargli sentire sul proprio corpo e nella propria carne la sofferenza di ciò che legge, percepire l’umanità delle persone di cui scrive: fare in modo che di fronte alla Verità nessuno possa girarsi dall’altra parte, dirsene estraneo.
Il giornalista, l’intellettuale, l’artista sono come l’imputato innocente in una pagina di Victor Serge, che, nella Russia di Stalin, dinanzi a un giudice che ammette solo fedeli e traditori, mentre viene trascinato in carcere digrigna tra i denti, con fede incrollabile, “Nonostante tutto, la Verità esiste”.
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