Tutto si compirà

Data: 26 Ottobre 2022

Tag: Racconti

Di: Viola

[Immagine: Claude Monet, Impression, soleil levant]

Tutto si compirà e tu, pieno di dolore, vedrai che ho detto soltanto la verità
La osservava mentre mescolava il te, tenendo il cucchiaino con l’indice e il pollice sollevava
un piccolo vortice di zucchero nella tazza. Il vapore caldo saliva e creava, a contatto con il
freddo della stanza, una nuvoletta sopra la sua mano. Gli piaceva guardarla mentre
scatenava, imperturbabile, una piccola tempesta nel suo te. La mano sinistra invece lottava
silenziosamente con un libro, che non voleva restare aperto a pagina quarantotto, ma
arrivare subito a settecentocinquanta. Più la osservava, più capiva fosse quella giusta. Il suo
corpo era elegante, magro e slanciato, le mani e i piedi sottili e discreti, e il viso, il viso era
bello. In realtà non gli piacevano particolarmente né la bocca né il naso di lei, la bocca
troppo piccola e con labbra sottilissime, quasi invisibili, il naso sporgente e acquilino. La
cosa che amava veramente era la sua nuca, non i capelli, ma proprio la forma del suo collo,
l’aveva vista per la prima volta girata ed era così che si era innamorato. Gli dava un senso di
tranquillità, di pace stare di sera sul divano ad accarezzarle i lunghi capelli neri,
massaggiarle le spalle e sentire con le punte della dita il calore che emanava il suo corpo.
“Non ti siedi?”, due occhi verdi lo fissavano interrogativi. Aveva uno sguardo profondo, che
lo scrutava immobile con il solo obiettivo di capire ciò che lui stava pensando ed indovinare.
Gli sembrava proprio una veggente mentre, dopo aver finito il tè, mescolava le foglie umide
rimaste sul fondo e con le pupille attraversava le sue. La copertina del libro recitava “Le
Locataire Chimérique” e raffigurava una finestra aperta che dava su un cortile interno. “Ti
piace?” Aveva chiuso il libro tenendo il segno con l’indice: “No”. Si trattava di un romanzo
francese pubblicato nel 1964, aveva ottenuto maggiore notorietà grazie al film “L’inquilino del
terzo piano” dove esordiva come regista Roman Polanski. “La storia non mi piace, è troppo
surreale e l’atmosfera è angosciante. Mi ricorda un po la Metamorfosi di Kafka. Non so come
spiegarlo in realtà, ma mentre lo leggo ho sempre l’impressione che stia per accadere
qualcosa di orribile e che il protagonista non possa far niente per impedirlo”. “E’ proprio
questa la cosa bella, la suspence. Sapere che sta per succedere qualcosa, qualcosa di
prevedibile, ma restare comunque colpiti quando accade” Era stato lui ad obbligarla a
leggerlo, quella sera il film sarebbe stato trasmesso al cinema in occasione del suo
trentesimo anniversario. Lui non se lo sarebbe mai perso e aveva insistito perché lei lo
accompagnasse. “Sono le sei, inizia a prepararti che il film comincia alle sette. Io passo da
casa a prendere i biglietti e ci troviamo davanti al cinema tra quaranta minuti.” Lei aveva
annuito senza guardarlo, ancora impegnata nella sua profezia con le foglie di tè. Lui aveva
preso il cappotto ed era uscito, quella sera pioveva a dirotto, era solo ottobre, ma sembrava
già inverno. Le gocce d’acqua rimbalzavano sulle foglie dell’alloro che sorvegliava il suo
appartamento e si scioglievano sulla terra bagnata. Una lumaca senza guscio era uscita da
sotto il portico e camminava vicina a lui lungo il vialetto che lo separava dall’auto. Gli
piaceva quella casa, sembrava sempre immersa in un sogno, staccata dal resto del mondo
e dagli altri condomini, avvolta da un incantesimo. Mentre guidava aveva pensato a se
stesso dieci anni prima, quando non avrebbe mai immaginato di ritrovare l’amore.
Conosceva Cassandra da solo pochi mesi, ma si erano sentiti subito molto legati. Non
sapeva come si fosse potuta innamorare. Lui era di qualche anno più vecchio di lei, alto e
magro, con il viso scavato. Aveva i capelli neri, folti e spesso arruffati e gli occhi marroni che
sembrava diventassero sempre più scuri con il passare del tempo. Erano spesso contornati
da occhiaie violacee che risaltavano ancora di più a causa della sua carnagione chiara.
Negli anni precedenti non si era preso molta cura di se stesso, ma nelle ultime settimane
aveva cercato di fare tutto il possibile per sembrare più bello di quanto fosse in realtà, di
tornare a com’era dieci anni prima, prima di perderla. Una sera d’autunno mentre tornava da
un appuntamento Euridice era stata investita ed era morta sul colpo. Non aveva mai

dimenticato il suo corpo accasciato a terra, assomigliava a quello di un cerbiatto ucciso da
un’auto in una notte buia. Solo un altro passo e sarebbe stata salva, aveva pensato a lungo
a quel passo, a quel secondo che il fato non gli aveva concesso. L’autista si era subito
fermato, aveva chiamato l’ambulanza, ma non era servito a nulla. L’uomo non era un
delinquente ubriaco, ma un semplice impiegato che tornava tardi dal lavoro e che a causa
della pioggia fitta non era riuscito a vederla, mentre correva senza ombrello dall’altra parte
della strada di ritorno da un loro appuntamento. Lui non aveva mai avuto nessuno da
incolpare per la sua morte, non aveva mai sfogato la propria rabbia per quella scomparsa
prematura ed era stato capace solo di rinchiudersi in se stesso. Aveva potuto prendersela
con la pioggia autunnale, questo non lo aveva portato ad odiarla, ma ad amarla ancora di
più, ricordandogli con ogni goccia un amore che non sarebbe mai finito. Con l’arrivo di
Cassandra tutto era cambiato anche la pioggia era diventata più leggera e Persefone
avrebbe presto lasciato l’Ade. Era come se si conoscessero da tutta la vita, si capivano
senza parlare: avevano costruito in qualche mese quello che alcune coppie ottengono solo
dopo anni di sacrifici. Con Cassandra faceva tutto quello che non era riuscito a fare prima o
che aveva già fatto con lei e non voleva dimenticare. I pomeriggi passati nella piccola libreria
di fronte al palazzo del comune, le fette di tiramisù con un cucchiaio per due e i vinili dei
Green Day. Quando uscivano con i suoi amici, Cassandra era sempre la prima a raccontare
le loro giornate passate a guardare i film di Tarantino, mangiando il gelato alla nocciola di
Banchini e a dire, con il suo sorriso entusiasta, quanto lui fosse unico. Non si rendeva conto
che era tutto riciclato e forse non lo capiva nemmeno lui. Gli sembrava di averla ritrovata,
negli occhi di Cassandra vedeva i suoi, tra le sue labbra sentiva il suo sapore e tra i folti
capelli il suo profumo. La cosa che più gliela ricordava, però, era la sua nuca, la prima cosa
che aveva visto di Cassandra, seduta davanti a lui in autobus e l’ultima cosa che aveva visto
di lei, girata verso la strada. Credeva di aver finalmente strappato Euridice dagli Inferi, di
averla riportata da lui, si illudeva che l’amore non lo avrebbe più abbandonato. Non si era
mai voltato indietro a guardarla un’ultima volta, aveva superato la prova e ora Euridice era di
nuovo con lui. I corti capelli chiari si erano tinti di nero, allungandosi fin sotto al seno e gli
occhi scuri si erano colorati di un verde spento. Le gocce di pioggia erano sempre più
grosse e, nonostante i tergicristalli, faceva fatica a vedere la strada, ma riusciva a sentire la
sua presenza vicino a sé. “Allora quando le dirai che era con me che avevi scoperto quella
libreria in centro?” Gli sembrava di sentire la sua voce nel vento freddo che entrava da un
finestrino aperto. “Quello era il nostro posto, l’ho trovato per prima io”. La udiva nei rigagnoli
d’acqua che costeggiavano la strada. “Sarà anche la tua nuova ragazza, ma non è cambiato
nulla”. La ascoltava ogni giorno, mentre gli ricordava che era esistita e che lui non poteva
dimenticarla, ma solo cercarla negli occhi delle altre. Nonostante quelle voci insistenti era
riuscito a trovare la strada di casa, nascosta a sinistra della tangenziale, coperta da un fiume
bagnato di foglie gialle. Entrato in casa, aveva lasciato le scarpe infangate all’ingresso,
aveva cercato i biglietti del cinema camminando scalzo sul pavimento di marmo,
rabbrividendo ad ogni passo. Aveva cercato in ogni tasca di giubbotti infeltriti, in ogni
cassetto vuoto e in ogni ripiano di quella libreria bianca, appena comprata all’ikea. Erano sul
tavolo, ci aveva guardato appena entrato ed era sicuro di non averli visti. Adagiati uno sopra
l’altro, senza pieghe, lisci come se fossero appena usciti dalla macchinetta, lo osservavano.
Dalla tovaglia pendeva un capello biondo. In fretta li aveva presi, mancavano dieci minuti
alle sette. Lei lo stava aspettando sul marciapiedi davanti al cinema e si riparava sotto la
tettoia del palazzo tenendo nella mano destra un ombrello rotto, il vento doveva aver
spezzato una delle stecche. Con il respiro corto per la corsa si era scusato cercando di
spiegare la temporanea scomparsa dei biglietti. Lei era rimasta in silenzio, ma quando lui

aveva smesso di farfugliare scuse, aveva alzato lo sguardo e sorridendo gli aveva ricordato
che il film stava per iniziare. Com’erano belli i primi mesi di una relazione, aveva pensato e
tenendola per mano l’aveva accompagnata dentro. L’orologio della farmacia a fianco aveva
segnato le sette e lui aveva accelerato il passo. Il corpo di Cassandra aveva avuto un attimo
di esitazione, non riuscendo a staccare il piede destro dal cemento umido che la separava
dal torpore dell’ingresso. Era stato solo un secondo, lui non se ne era nemmeno accorto e
l’aveva trascinata sotto l’insegna rossa del cinema. Era una sera grigia e silenziosa. Quella
luce finta aveva illuminato il suo viso, disegnando le ombre dei suoi zigomi, degli occhi
appena infossati e dei capelli arruffati dalla pioggia sottile. Lui, voltandosi indietro, non
l’aveva mai vista così bella e per la prima gli era sembrato di capirla veramente. La sala era
buia e calda, il film era appena incominciato e mentre la cinepresa inquadrava il palazzo
scorrevano sotto i titoli di testa. L’ombrello rotto sgocciolava sul pavimento e nel buio della
sala guardava la vita imitare l’arte. L’urlo disperato del protagonista aveva concluso il film e
le luci si erano riaccese rivelando i pochi sedili occupati. Erano usciti, ma questa volta senza
tenersi per mano. Lui incapace di districarsi tra il film e i suoi pensieri teneva lo sguardo
basso, non facendo caso a Cassandra che lo seguiva silenziosa. Lei alzava gli occhi e lo
osservava, chiunque l’avesse vista avrebbe potuto giurare che quello era lo sguardo del
vero amore. Sulla soglia della strada si erano salutati e lei, prima di raggiungere la macchina
dall’altra parte della strada, lo aveva baciato sulla guancia. La pioggia fitta creava un’aureola
intorno ai fanali delle auto che solcavano la strada e le nuvole scure rendevano quella notte
autunnale ancora più buia. Non si era trattenuta con lui, ormai a differenza sua, lei lo aveva
capito, lo aveva riconosciuto; non per l’uomo che era, ma per quello che non era. Senza un
accenno di esitazione, di ripensamento era scesa dal gradino del marciapiede e aveva
raggiunto il primo rettangolo bianco delle strisce pedonali. Ogni passo era più deciso del
primo, come una vergine avanzava verso l’altare sacrificale di marmo candido. Mentre
raggiungeva la macchina, gocce di pioggia le cadevano sulla pelle bianca e scendendo
lungo tutto il braccio scivolavano via dalle dita esili. Aveva una camicetta leggera, che le
cadeva larga lungo i fianchi e filtrava la luce dei lampioni creando intorno a lei un alone
chiaro. Non si era voltata, non aveva paura. Era quasi arrivata dall’altra parte quando l’urlo
disperato di lui aveva inondato la strada e una macchina aveva trafitto il silenzioso corpo della ragazza.

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