RECENSIONE: La grande ambizione
Data: 21 Gennaio 2025
Tag: Cultura, Recensioni
Di: Martina Pileri
Sono passati 40 anni da quel comizio per le elezioni europee, dalla morte di Berlinguer. Naturalmente quest’anno abbiamo visto mostre, documentari e addirittura tessere di partito dedicate al Segretario del PCI. Non poteva mancare un nuovo film su di lui, “La grande ambizione”, di Andrea Segre, con Elio Germano, presentato al Festival del Cinema di Roma. Il film prende il titolo da una frase dai “Quaderni del carcere” di Gramsci, di cui Berlinguer aveva la foto in ufficio, che parlava della piccola ambizione, privata, cioè quella dell’opportunismo, in contrasto con la grande ambizione, l’agire politico. In Berlinguer le due coincidono.
Il film abbraccia un periodo storico chiave nella storia italiana, dal ‘73, dopo il golpe in Cile, al ‘78, col rapimento di Moro. La prima scena si apre su un Berlinguer privato, che si prepara a parlare con i leader bulgari, a Sofia. Il tentativo di mostrare la persona oltre il politico doveva essere uno degli obbiettivi del film, ma non è riuscito. Da una parte è innegabile come cinquant’anni fa la vita privata dei politici fosse davvero privata, ben poco superava le mura domestiche. D’altra parte riusciamo a vedere solo scene molto composte, innaturali, il “grigio funzionario” più che il padre. In generale la performance di Elio Germano, solitamente eccellente, sembra caricaturale, sia nell’accento innaturale sia nella postura ingobbita.
Forse la parte privata, in cui si emerge un uomo che ha dei timori, è alla conclusione. Si vede un segretario in cui si è acceso un campanello di allarme, che è stato tradito dallo stesso compromesso storico, fallito col rapimento di Moro.
Proprio nella seconda parte, il focus si sposta dalla politica estera a quella italiana. Con questo cambio di rotta, avviene una radicale trasformazione del film: diventa frettolosamente lento, da una parte corre tra gli eventi storici, dall’altra non li spiega davvero risultando particolarmente pesante. Così non è chiaro chi sia il target del film: se i giovani, a cui non vengono fornite informazioni a sufficienza, oppure chi quell’epoca l’ha vissuta, che però rischi di annoiarsi senza provare troppe emozioni. Tenderei per la seconda ipotesi, considerando il tono malinconico del film, sia per i filmati storici, che portano a rimpiangere un tempo che non c’è più, sia per la colonna sonora.
Forse l’elemento deludente è il Berlinguer moderato, un politico che preferisce una pace sociale all’effettiva giustizia di classe e alla lotta politica, con una generale semplificazione dello sguardo sul mondo. Proprio alla fine del film si vede come 1,5 milioni di persone erano al suo funerale, gli volevano bene, non perché era un uomo di centro, ma perché era comunista, parlava con le masse, offriva un’alternativa al partito democristiano. Considerando i vari tentativi cinematografici di mettere in scena Berlinguer, sembra sia molto difficile, non si riesce mai a far emergere la capacità di ascoltare e parlare davvero con tutti.
In generale credo che molte persone abbiano amato il film perché mostra un mondo in contrasto con la realtà di oggi, quando, sia in Italia che in Europa, si aggira davvero uno spettro, ma nella misura in cui la sinistra non è che un pallido fantasma di quello che era.
Ultimi articoli pubblicati:
Condividi questo contenuto
GLI ULTIMI ARTICOLI DI EUREKA: