Recensione del film “Io Capitano”

Data: 17 Novembre 2023

Di:Maria Vittoria Eventi, Veronica Baldi e Tambini Francesco

“Io capitano” è un film d’inchiesta uscito quest’anno dalla regia di Matteo Garrone che, attraverso il punto di vista del sedicenne Seydou (interpretato da Seydou Sarr), mette in scena il terribile viaggio che compiono i migranti in fuga dall’Africa tentando di raggiungere l’Europa. Nel film Seydou, un ragazzo senegalese con il sogno di diventare cantante, dopo aver messo da parte i soldi per compiere il lungo e faticoso viaggio, decide di partire assieme a suo cugino Moussa (interpretato da Moustapha Fall). I due lasciano la loro terra e la loro famiglia, nonostante il divieto della madre, non per fuggire da qualcosa, ma per qualcosa. Non fuggono dalla guerra ma per per avere un futuro migliore, un futuro che il Senegal non può dargli. I due ragazzi sognano l’Europa e l’occidente come una terra promessa e la loro può essere considerata un’odissea contemporanea attraverso le aride dune del deserto, la crudeltà dei centri di detenzione in Libia e gli imprevisti del mare, arrivando addirittura a separarsi e poi, fortunatamente, ritrovarsi. Dopo numerose difficoltà i due ragazzi riescono finalmente ad arrivare in Libia e Seydou, incaricato dall’organizzazione criminale che gestisce i viaggi attraverso il Mar Mediterraneo dalla Libia a Lampedusa, decide di mettersi al timone di una barca quasi fatiscente. Lui, che non ha mai messo piede su un’imbarcazione e non sa nuotare ,non si tira indietro, decide di osare, improvvisarsi Capitano e portare a termine il suo compito: salvare la sua vita e quella di tutte le persone intorno a lui. In quei 121 minuti di proiezione tutti noi siamo stati testimoni di un viaggio estenuante, lungo, rischioso, guidato dalla speranza e accompagnato dal terrore. Abbiamo seguito con lo sguardo Seydou e percepito la sua gioia e il suo dolore. Ci ha fatto piangere con la sua sensibilità ma anche ridere con la sua spensieratezza di adolescente, proprio come noi. Il protagonista, che inizialmente, si sente adulto e capace di affrontare il mondo lontano da casa, poco dopo la partenza si rende presto conto di essere ancora un ragazzo, che dovrà lottare con tutte le sue forze per salvarsi la vita. Il cammino dei due protagonisti è un cammino di crescita alimentato dalla speranza che entrambi nutrono verso un futuro migliore. Un cammino che si rivelerà molto duro, forse ancora di più di quello che si aspettavano ma l’amore che Seydou prova verso il prossimo lo renderà finalmente un uomo maturo e consapevole.
Veramente commovente è la scena finale: un intenso primo piano di Seydou che avvista terra e capisce di avercela fatta, di aver guidato alla salvezza tutte le persone a bordo. La sua storia è quella di un ragazzo che si è preoccupato di non abbandonare nessuno ma soprattutto di non abbandonare se stesso e la sua identità, nonostante le crudeltà e le violenze che ha subito. Questo film è una presa di coscienza. Ciascuno di noi ha il suo viaggio, verso un progetto, verso un sogno, ma quello che conta non è solo raggiungere la nostra meta, ma è altrettanto importante come, e soprattutto con chi, percorriamo la strada. Il viaggio è metafora della vita, perché tutti noi lungo il nostro cammino possiamo trovare difficoltà, debolezze, solitudine, ma incontriamo anche bellezza e umanità. Abbiamo visto con i nostri occhi la verità ed ora è nitida nella nostra mente, non ci limitiamo più ad immaginare; abbiamo ascoltato il wolof, visto l’Africa, il deserto, il mare aperto. Per la

prima volta ci viene raccontata una parte del viaggio che viene spesso dimenticata permettendoci di conoscere il punto di partenza ed il percorso infernale, non solo il momento dell’arrivo. I migranti non sono più le figure anonime che siamo abituati a vedere nei telegiornali, uomini senza un’identità, ma nel film ne cogliamo la loro umanità personale e li sentiamo vicini, non più estranei. In fondo non fa tanta differenza dove siamo nati e cresciuti, non fa differenza il colore della pelle e la lingua che ci è stata insegnata, perché nell’animo tutti portiamo il desiderio di vivere una vita degna di essere vissuta, che risponda alle nostre aspirazioni e ai nostri sogni. Seydou e Moussa vengono da lontano, ma sono due di noi .
Attraverso il susseguirsi di immagini viene mostrata la realtà nella sua totale integrità facendo vedere tutta la cattiveria e la disumanità di alcuni personaggi senza censure. Il regista attraverso questo film ci offre una grande verosimiglianza rispetto a ciò che ci è raccontato da coloro che hanno realmente affrontato questo viaggio, arrivando in Europa. Infine Il film si conclude senza mostrare né il momento dello sbarco né la vita dei personaggi dopo il loro arrivo e lo spettatore ha la piena libertà di immaginare un futuro per il protagonista e, allo stesso tempo, la possibilità di riconoscere in Seydou tutti coloro che tentano di compiere il viaggio, alla ricerca di un futuro migliore. Dunque ci chiediamo se noi saremo mai capaci di ritenere la vita di altri allo stesso livello della nostra: allora potremo dire che “Io capitano” ci ha insegnato qualcosa.

“Ero diventata una naufraga,
una straniera, ormai non conoscevo
più il mio mondo.”

L’unica cosa che mi rimaneva era quella serata.
Dopo tanto tempo, come sarebbe stato? Avevo paura, una paura folle, perché quella sera volevo essere felice, soltanto felice, ma la vita mi aveva insegnato che le cose belle sono destinate a finire.
Arrivata davanti alla porta del locale, il mio pugno intirizzito batté due volte. Rumore di passi. Ero ancora in tempo per andarmene.
Il volto di Jamie mi aprì.
Dio, se era alto. Alto fino al cielo, non l’avevo mai notato prima. La luce nei suoi occhi, ormai, si era spenta. Ma stava cercando di accenderla di nuovo, solo per me.
“Ciao.”
“Ciao. Posso entrare?”.
Lui aprì la porta. Ci guardammo, poi avanzai, a piccoli passi. E crollai fra le sue braccia, a piangere in silenzio.
Quando mi addentrai nel locale, vidi che molte cose non c’erano più. Le sedie, i tavoli erano rimasti, ma arrugginiti. Il biliardo non c’era più, la piccola biblioteca era vuota, completamente vuota.
Loro, però, c’erano.
Sei ragazzi in totale, una stampella, qualche benda, sudore che colava dalla fronte, sei paia di occhi stanchi.
Però, c’erano. Erano, lì, cambiati. Lily aveva i capelli più corti, Toby aveva perso qualche pezzo, il silenzio era pesante, terribile.
Mi avvicinai, presi un bicchiere e, con le mani tremanti, lo sollevai.
“Ai sopravvissuti.” Sussurrai.
Il silenzio si trasformò in sei enormi sorrisi, sorrisi stanchi, ma brillanti, ma vivi.
Vivi, vivi…eravamo vivi!
Robert si sedette e iniziò a suonare. Una musica allegra, a tratti struggente, pervase l’aria. Jamie mi prese per mano, mi fissò, poi cominciò a ridere.
Eravamo bambini piccoli, che muovevano i primi passi nel mondo, passi di danza, imperfetti, imprecisi, ma veri, vivi, e soltanto nostri.
Quando Robert smise di suonare, la musica non si fermò. Continuò all’infinito, inondando tutta la città, tutto il mondo, fino a riempire il nero della notte.
Eravamo tornati.

Elena Mora

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17/11/2023|Categorie: Eureka|Tag: , |