NON È (PIÙ) LA RAI

Di Sara Marconi 

 

“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”

Articolo 21 della Costituzione Italiana

 

Il comunicato dei sindacalisti Rai letto in tutti i telegiornali italiani l’11 aprile ha segnato e scosso moltissimi telespettatori. Nel loro comunicato i giornalisti del maggior sindacato Rai, l’Usigrai, denunciano come la maggioranza di governo stia trasformando nel suo megafono la Radiotelevisione Italiana. Il comunicato è stato emesso in seguito a una modifica apportata alla “Par Condicio”, una legge che assicura un uguale trattamento a tutti i partiti e candidati in campagna elettorale da parte dei giornalisti e dei media.

La modifica in questione darebbe ai rappresentanti di governo candidati alle europee la possibilità di parlare nel talk senza limiti di tempo e senza la possibilità di venire interrotti dai giornalisti. 

Nel comunicato i giornalisti si dichiarano pronti a mobilitarsi per far valere la loro idea di giornalismo e per garantire ai cittadini una “informazione indipendente, equilibrata e plurale”.

Se questa comunicazione ha scosso i cittadini, esso non è stato né il primo né l’ultimo segno della degenerazione in Rai.

Infatti, uno dei primi scandali della TV italiana di quest’anno risale al giorno dopo la finale di Sanremo, quando Mara Venier, nel suo programma Domenica In, ha letto un comunicato dell’ad Rai Roberto Sergio che dichiarava la completa solidarietà allo stato Israeliano, presentato come unica vittima della guerra che da mesi insanguina la Palestina. Nel comunicato di Sergio è evidentissima l’unilateralità del sostegno alle vittime della guerra ed esso è una risposta lampante alla parole dette da Ghali (“stop al genocidio”) durante la finale del festival.

Questo fatto ha preoccupato e fatto inorridire migliaia di telespettatori, già inquietati dalla fuga di conduttori dalle reti Rai: Fazio, Berlinguer, Augias, poi Amadeus. Tutti questi hanno lasciato perché la Rai sta stringendo sempre di più le possibilità artistiche dei conduttori, obbligandoli ad attenersi alle linee politiche della maggioranza di governo: non bisogna stupirsi se giornalisti di alto calibro abbiano deciso di andarsene da “Mamma Rai”.

Il comunicato dell’Usigrai ha sicuramente segnato un punto di svolta per la Radiotelevisione Italiana, dato che ora anche il telespettatore più distratto è consapevole dei contrasti interni che  si muovono in Rai.

L’apice della censura che la Rai sta applicando alle sue reti è stato raggiunto il 21 aprile, con la censura del monologo di Antonio Scurati, che doveva andare in onda sul programma condotto da Serena Bortone, “Che Sarà”. Nel suo monologo, Scurati commemorava l’assassinio di Giacomo Matteotti per mano dei fascisti e le stragi perpetuate dai nazifascisti durante la Resistenza, in occasione della vicinanza al 25 aprile. 

Ma Scurati nel suo intervento denunciava anche l’avversione del Governo e, nello specifico, della premier Giorgia Meloni all’antifascismo. Scurati denuncia infatti come Meloni non abbia mai pronunciato la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023 (cosa che si è ripetuta quest’anno) e come la Presidente del Consiglio non abbia mai preso le distanze dal suo passato neofascista. Inoltre, egli denuncia che il nostro attuale Governo abbia scelto di “riscrivere la storia”, iniziando con l’eliminare l’importanza che la Resistenza partigiana ha avuto nel nostro Paese.

I vertici Rai non hanno gradito l’intervento. Il monologo viene eliminato dal programma di Serena Bortone. O meglio, il monologo viene censurato.

Ma Serena Bortone, nella puntata seguente di “Che Sarà”, ha letto il monologo di Scurati, che le era stato regalato dallo stesso scrittore. Il gesto non è passato inosservato e non è stato gradito, tant’è che adesso Bortone ha avuto un provvedimento disciplinare e rischia l’eliminazione del suo programma. 

La vicenda Scurati si è rivolta come un boomerang contro il Governo e la Rai. Infatti, un monologo che sarebbe passato per lo più inosservato ha avuto una grandissima attenzione mediatica, tanto che alcune città lo hanno letto nelle manifestazioni dedicate al Festa della Liberazione.

Dopo questo sono successe tante cose: l’indignazione ha fortunatamente contagiato gli stessi giornalisti Rai, che sono scesi in piazza a protestare in favore delle proprie libertà. Si sono susseguiti scioperi, comunicati, risposte, scioperi boicottati. Insomma, è chiaro ad ogni italiano che la Rai sta attraversando un momento di crisi. Ma non è solo la Rai in crisi: è lo stesso diritto alla libertà di stampa ad esserlo. Diritto che è garantito dall’articolo 21 della nostra Costituzione. In questo modo, la Rai non solo si sta dimostrando repressiva, ma anticostituzionale, cosa inaccettabile per la principale televisione del nostro Paese.

La censura è bandita dalla nostra Costituzione antifascista che garantisce ai cittadini tutte quelle libertà che durante la dittatura fascista sono state eliminate. Vedere la Rai censurare programmi e giornalisti non dovrebbe provocare una semplice preoccupazione, ma una vera e propria indignazione, che andrebbe gridata nelle piazze, per far vedere che gli Italiani nella Costituzione ci credono ancora. 

Anche se sembra che sia il nostro stesso Governo a dimenticarsene, dovremmo ricordare ogni giorno come la lotta antifascista abbia salvato l’Italia.  Dovremmo ricordare i valori antifascisti ed essere grati all’antifascismo, perché è solo grazie a quei partigiani e a quelle partigiane che hanno lottato se io ora sono qui a scrivere quest’articolo. E dovremmo preservarle, quelle vittorie, partendo dallo scandalizzarci quando vediamo un monologo antifascista censurato sulla televisione statale.

 

“Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana”

Antonio Scurati