L’altra faccia della Terra
Un tappeto, diciotto plance, due specchi e grandi lettere mobili, tutti calpestabili: questi gli elementi che, fino al 28 ottobre, hanno popolato il chiostro della Chiesa di San Giovanni Evangelista a Parma, in occasione della mostra “Minerali Clandestini”. Fine principale dell’esposizione è, infatti, mostrare le opportunità e ricchezze di una terra come la Repubblica Democratica del Congo e di come queste vengano sfruttate per fini prettamente economici, cercando di nascondere o, peggio, legittimare le condizioni di violenza e sfruttamento a cui è sottoposta la popolazione.
È infatti soprattutto tramite le testimonianze degli stessi congolesi, unite alle ricostruzioni della filiera dell’estrazione, lavorazione e smistamento dei singoli minerali, che la situazione dell’“altra faccia della Luna” viene scoperta, in tutta la sua oscurità e cinismo: bambini di meno di dieci anni sfruttati nelle miniere, donne sottopagate in costante contatto con materiali radioattivi o tossici, uomini piegati per interminabili ore sotto sacchi di pietre pesanti anche diversi chili. Il tutto sotto gli occhi attenti delle milizie locali, spesso coinvolte nelle azioni di guerriglia che dilaniano il territorio nazionale, assoldate dalle big tech straniere per mantenere la tranquillità nelle cave; dove tranquillità è sinonimo di silenzio, asservimento e adeguamento alla povertà estrema che sta prosciugando il Congo, e dal punto di vista economico e dal punto di vista ambientale.
Lo sforzo della popolazione intervistata, come di molti dei loro concittadini, rimane quello di denunciare la loro condizione al mondo, nonostante la situazione peggiori di giorno in giorno e si sia diffusa anche in altre zone dell’Africa, dell’Asia e dell’America del Sud.
Sono tanti, sono troppi, tanto che nei sagomati che ospitano i loro interventi sono rappresentati solo in parte, come per indicare una parte per il tutto; ma l’Occidente è davvero interessato a scoprire cosa sta a monte di un oggetto comune come un cellulare? Soprattutto, è pronto a mettere in discussione i propri stili di vita per un miglioramento globale della condizione umana? Qualunque sia la risposta, la mostra suggerisce, all’inizio e alla fine, di rimirarsi in uno specchio, in cui è presente l’immagine di una donna congolese: chissà che, una volta saputa la verità sul comportamento di industrie e governi occidentali, guardarsi in faccia non sia più così semplice.
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