Israele-Palestina: si può parlare di crimini di guerra?
Data: 6 Gennaio 2024
Tag: Attualità
Di: Chiara Varacca
Il 7 ottobre 2023 passerà alla storia come il giorno in cui il conflitto israelo-palestinese è prepotentemente tornato anche nelle nostre vite. Noi della redazione Eureka abbiamo deciso di dedicare il giusto spazio a questi ultimi eventi drammatici, con l’obiettivo di informare e sensibilizzare la comunità studentesca e non solo. Per farlo, abbiamo deciso di intervistare un ex-studente del Romagnosi, Davide Varacca, laureato in Relazioni Internazionali e Studi Europei presso l’Università di Firenze, la cui tesi magistrale è stata dedicata ai crimini di guerra e crimini contro l’umanità nei Territori Palestinesi Occupati (OPT).
- Ciao Davide, che piacere averti qui con noi. Prima di parlare dei presunti crimini internazionali commessi negli OPT, sai dirci come siamo arrivati a questo punto?
- Bella domanda! Per comprendere al meglio lo scenario mediorientale, dobbiamo partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e la nascita dello Stato di Israele. Con il termine del mandato inglese designato dalla Società delle Nazioni, tramite la risoluzione 181, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite predispose una risoluzione delle dispute territoriali in Palestina, suggerendo la creazione di due Stati sovrani, autonomi ed indipendenti: uno palestinese e uno israeliano.
Tuttavia, già dal maggio 1948, iniziarono le prime ostilità tra le due popolazioni, ostilità culminate con l’insediamento militare da parte dello Stato di Israele lungo gran parte degli OPT. Dopo la cosiddetta “Guerra dei Sei Giorni”, infatti, il governo di Gerusalemme ha instaurato una vera e propria occupazione militare, limitando di fatto il principio di autodeterminazione del popolo palestinese e molti altri diritti fondamentali, tra cui la libertà di movimento, il diritto alla vita e il diritto alla salute.
Esempi lampanti di tali limitazioni possono essere il blocco economico imposto alla Striscia di Gaza oppure la costruzione di un Muro di Separazione negli OPT, prontamente condannato dalla Corte Internazionale di Giustizia.
Vani sono stati i vari tentativi di risoluzione del conflitto in essere, compresi gli Accordi di Oslo siglati a cavallo della fine del XX secolo. Nonostante Israele affermi di aver abbandonato Gaza a partire dal 2005, la dimensione dell’egemonia sionista in Medio Oriente sembra addirittura essersi allargata, complici anche gli episodi di violenza terrorista effettuati dal gruppo paramilitare di Hamas.
- Ok, tutto chiaro. Ma allora cos’è Hamas?
- Hamas è formalmente un’organizzazione politica palestinese islamista, sunnita e fondamentalista, che da anni svolge un ruolo fondamentale all’interno del conflitto israelo-palestinese. Nel suo Statuto del 1988, Hamas si prefigge come obiettivo il ritorno del popolo palestinese nei Territori Occupati e la creazione di un unico Stato sovrano, ovverosia lo Stato di Palestina. Per ottenere il suddetto obiettivo, i membri di Hamas hanno commesso in passato svariati attentati terroristici: nessuno, però, poteva immaginare una forza militare tale da tenere testa all’esercito israeliano, scenario che si sta verificando in questo momento.
- Davide, una domanda: se Hamas persegue uno Stato palestinese, come mai spesso si sente usare questo termine?
- La questione è complicata. Di per sè, uno Stato palestinese esiste eccome, tant’è che in molti lo definiscono come un’entità statale e governativa “sui generis”, sebbene non siano ancora stati soddisfatti i criteri di diritto internazionale necessari per il riconoscimento di uno Stato. Ad esempio, uno Stato può essere considerato tale solo se vi è la presenza di confini geografici ben definiti, ipotesi non vera per il caso degli OPT, tuttora suddivisa in tre zone – zona A, B e C. Ad onor del vero, il popolo palestinese è impossibilitato a compiere una propria evoluzione sociale, data l’occupazione israeliana e soprattutto a causa delle forme di discriminazione messe in atto dai coloni israliani. A tal proposito, l’opinione della comunità internazionale è spaccata in due: da una parte, la presenza di una nazione palestinese è ritenuta ancora come una mera eventualità – basti pensare alle opinioni manifestate da Israele e Stati Uniti d’America; dall’altra, è evidente quanto le imperfezioni legali dello Stato palestinese non abbiano impedito a quest’ultimo di comportarsi come tale.
Il riferimento è per esempio alla risoluzione 67/19, nella quale le Nazioni Unite hanno conferito alla Palestina lo status di “Stato osservatore non membro” dell’organizzazione.
- Cosa ci sai dire sui presunti crimini internazionali commessi negli OPT?
- Nel 2019, l’ex procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI), Fatou Bensouda, ha concluso una prima indagine preliminare sugli eventi accaduti neglo OPT, avanzando la possibile sussistenza di crimini di guerra e crimini contro l’umanità nei confronti sia della comunità palestinese, sia di quella israeliana. Secondo gli articoli 7 e 8 dello Statuto di Roma, trattato istitutivo della CPI, atti quali omicidio intenzionale di civili, attacchi contro edifici estranei al conflitto e/o ospedali, forme di tortura e punizione collettiva sono perseguibili alla stregua di crimini internazionali. Nonostante ciò, l’inchiesta formale attivata dall’Ufficio del Procuratore della CPI nel 2021 pare purtroppo essersi paralizzata dopo l’inizio del conflitto ucraino. Stando a diversi giuristi internazionali, uno dei principali problemi dell’inchiesta risiederebbe nello scarso sostegno di gran parte della comunità internazionale: storicamente, la CPI ha avuto successo soltanto quando il processo di giustizia internazionale ha avuto un pieno, totale e completo supporto mondiale.
Finché lo Stato di Israele negherà l’accesso della Corte nei Territori Occupati, finché determinate potenze mondiali, in primis gli Stati Uniti d’America, si opporranno ad una soluzione condivisa della crisi mediorientale, è piuttosto complesso immaginare un lieto fine di questa vicenda.
- A che cosa ti riferisci in particolare?
- E’ notizia di pochi giorni fa il veto degli USA in sede del Consiglio di Sicurezza, rispetto alla risoluzione su Gaza che chiedeva un immediato cessate il fuoco umanitario, ostacolando in questo modo la risoluzione del conflitto. Ovviamente ciò non significa che la responsabilità maggiore sia da imputare ai membri della comunità internazionale, estranea al conflitto. Eppure, è altrettanto chiaro come prese di posizione di questo tipo non giovino al conseguimento di una pace sostanziale.