Intervista impossibile a Giovanni Gentile
L’inizio di febbraio è, ormai da alcuni anni, un momento molto caldo per il sistema scolastico italiano: si parla della struttura della maturità, dei test d’ingresso alle università, di voti e pagelle, attendendo le nuove disposizioni del Governo in carica per capire come si evolverà la scuola. La maggior parte di queste decisioni, però, vanno a scalfire solo la superficie del sistema scolastico, modificando quasi sempre solo la modalità di valutazione. Tant’è che, per ritrovare una riforma sistematica della scuola, si deve scavare ai tempi del fascismo, precisamente a quando il filosofo Giovanni Gentile presiedeva il Ministero dell’ Istruzione: esattamente cento anni fa.
Ed è proprio all’inizio di febbraio, il 2 per la precisione, che presso il Palazzo del Governatore si è svolto un incontro per trattare di questo tema, dal titolo “Riforma Gentile: 100 anni bastano?”. Non solo per riflettere su quanto ha comportato la riforma Gentile nel corso del secolo per cui è rimasta (e rimane) in vigore, ma anche e soprattutto per ripercorrere le vicende storico-culturali che sono alla base del decreto. E quale migliore relatore, se non le scuole stesse? È proprio per questo che Manuela Catarsi, presidente della Festa della Storia -il progetto sostenitore dell’iniziativa-, nel suo discorso introduttivo menziona l’importanza che ricopre il lavoro dei molti studenti che hanno aderito all’incontro. Più di dieci classi, infatti, si sono alternate nel presentare i loro elaborati al pubblico, guidati dagli interventi della preside dell’Istituto Comprensivo Micheli-Vicini, Chiara Palù: dal bilancio a posteriori della riforma Gentile presentato dalla classe 5^E del Liceo Sanvitale, all’intervista impossibile realizzata dagli studenti della 3^A della nostra scuola (riportata integralmente alla fine dell’articolo); dal lavoro di archivio, portato avanti sempre dalla 5^E del Liceo Sanvitale, riguardo il passaggio da scuola normale a scuola magistrale del loro istituto, alla ricerca delle terze medie dell’Istituto Vicini, riguardante la “dynamic schooling” che don Milani aveva creato a Barbiana nella prima metà del secolo scorso.
Dopo gli interventi delle classi, si prosegue quindi l’incontro con uno scorcio d’oltreconfine vissuto da due punti di vista, quello di studenti che si sono da poco trasferiti nel nostro Paese e quello di chi, italiano, ha potuto vivere l’esperienza di frequentare una scuola all’ estero: realizzato sotto forma di intervista da una mediatrice culturale dell’Istituto Vicini, il dibattito ha messo in luce le differenze tra i vari sistemi scolastici internazionali, ponendo quindi nuovamente sul piatto della bilancia i pregi e i difetti di una riforma definita dallo stesso Mussolini come “la più fascista delle riforme”, ma che ancora caratterizza la struttura del nostro sistema scolastico nella divisione degli indirizzi di studio, degli anni di frequenza e delle materie trattate. Chiude quindi l’incontro l’intervento del preside Pier Paolo Eramo, che tira le somme di quanto si è sentito.
Anacronistica o avveniristica? Troppo umanistica o creatrice di pensiero critico? Gerarchica e classista o basata sul merito? La riforma Gentile risulta ancora molto dibattuta, in termini sempre più attuali: ma partire dalla storia che l’ha concepita rimane senza dubbio il mezzo più potente per poter capirla nel presente, per metterne in luce pregi e difetti e, perché no, porre le basi per un rinnovamento della stessa, che sia anche frutto dell’incontro della scuola italiana con altre culture.
Intervista impossibile a Giovanni Gentile
Protagonisti e interpreti: alunni e alunne della III A del Liceo classico e linguistico “Gian Domenico Romagnosi”
Narratore: Buongiorno a tutte e a tutti. A più di cento anni dalla Riforma Gentile, noi studentesse e studenti del Liceo classico e linguistico “G.D. Romagnosi” di Parma, abbiamo deciso di condurre un’intervista a colui che l’ha realizzata. Un’intervista impossibile ma certamente verosimile, sollecitata dalle nostre riflessioni sul corso di studi che stiamo portando a termine, il liceo classico.
Prima intervistatrice: Buongiorno Ministro, la chiameremo così. Ricordiamo che è proprio come Ministro della pubblica istruzione del primo governo Mussolini che ha varato nel maggio del 1923 la riforma complessiva degli ordinamenti scolastici che da lei ha preso il nome. Ricordiamo poi che è stata l’unica a investire l’intero assetto della scuola che sia stata portata a termine finora. Da allora sono stati diversi gli interventi sulla scuola ma sono risultati frammentari e talora ancorati alla sua pedagogia, soprattutto per quanto concerne gli studi liceali. Che effetto ha su di lei sapere che la sua riforma ha avuto un’onda così lunga?
Giovanni Gentile: Buongiorno a voi ragazze mie. Mi preme presentarmi soprattutto come intellettuale e filosofo neoidealista; il mio ruolo politico è una conseguenza della mia riflessione filosofica e pedagogica, senza la quale non si potrebbe comprendere il mio progetto di riforma del sistema dell’istruzione. Dato che mi sembrate piuttosto informate, saprete anche certamente che il mio pensiero deriva da un ripensamento del sistema di Hegel. È proprio per questo che ho posto la filosofia al vertice degli studi liceali e ho dato un’impostazione storica allo studio delle discipline umanistiche. A mio giudizio queste discipline sono infatti essenziali per educare gli studenti alla vita dello spirito.
Seconda intervistatrice: D’accordo professore, ma lasciamo stare Hegel, che abbiamo studiato con gran fatica. Quando ci parla poi di spirito, le nostre menti si annebbiano. Certo, abbiamo imparato cosa intende Hegel con filosofia dello spirito, ma perché un secolo dopo, nel Novecento, in un periodo di grande sviluppo tecnico e scientifico, lei abbia riservato una posizione marginale alle scienze, alla geografia e alle materie tecniche proprio non lo capiamo. Così come ci sorprende che lei abbia assegnato l’istruzione tecnica al Ministero dell’economia piuttosto che a quello della pubblica istruzione. Lei capirà che un progetto d’istruzione che tiene la scuola lontana dal mondo del lavoro e della società è destinato a generare problemi.
Giovanni Gentile: E’ vero, posso riconoscerlo. Ma vedete, lo scopo della scuola è di formare non il professionista nè l’artigiano, ma l’uomo. E per questo l’indirizzo migliore è quello degli studi classici, che coltivano gli intelletti già predisposti a questo e li preparano agli studi universitari. Il liceo classico è dunque la scuola
dell’élite culturale e politica, educata a diventare la classe dirigente del paese. Del resto, la scuola superiore non può essere democratica: sapete, secondo una mia espressione di successo, l’accogliere tutti “sarebbe come dare perle ai porci.” Diversamente da quanto credete, è per la società e la sua stabilità che ho messo mano al riordino del sistema scolastico: si trattava di dare a ciascuno infatti, a partire dalla scuola, il suo posto nella società. E “la società non è concepibile senza classi dirigenti, cioè senza uomini che pensino per sé e per gli altri”. Dunque in pratica, istruzioni diverse, per classi sociali diverse. Per questo era opportuno ridurre il numero degli studenti del liceo classico, per lasciare posto ai migliori. Gli altri potevano quindi frequentare il liceo scientifico, che consentiva solo l’accesso alle facoltà scientifiche e a medicina. C’erano poi l’istituto magistrale, le scuole commerciali, industriali e agrarie, ma anche il liceo femminile, per i quali non si prevedeva uno sbocco universitario.
Seconda intervistatrice: E’ per questo che ha strutturato il percorso del liceo classico in modo così selettivo, che per arrivare alla maturità si doveva seguire una specie di via crucis. Un percorso per pochi, difficile per chi non aveva alle spalle una famiglia ricca e colta. Questa sua prospettiva mi suggerisce di portare all’attenzione del nostro pubblico il fatto che Lei sia stato soprattutto il più importante intellettuale fascista, che ha fatto proprio il programma ideologico di Mussolini. L’impostazione classista ed autoritaria della sua riforma scolastica corrisponde senza dubbio all’esigenza di realizzare «una scrupolosa selezione degli individui migliori destinati a occupare i posti più importanti nella gerarchia sociale e politica», come si è espresso in proposito Mussolini, che ha definito perciò la sua come “la più fascista delle riforme”. Ecco, noi studenti del liceo “Romagnosi” dell’anno scolastico 2023-24 è di questa responsabilità che vogliamo che lei risponda.
Giovanni Gentile: Le sue parole mi “stuzzicano” ragazza mia… E’ vero, per tutti gli anni Venti sono stato niente meno che l’ideologo del fascismo e sono stato il promotore del Manifesto degli intellettuali fascisti. E proprio per questa mia nobile scelta ho perso l’amicizia e la collaborazione filosofica di Benedetto Croce, il filosofo di fama internazionale con cui ho condiviso gli studi hegeliani. E’ vero anche che Mussolini ha apprezzato la mia riforma e mi ha affidato importanti incarichi anche nel mondo della cultura nel primo decennio del governo fascista, con mio grande onore, ma dagli anni Trenta lo stesso duce ha sollecitato un superamento del mio modello di scuola secondo l’impronta dello stato totalitario. Ho mantenuto ovviamente fede al fascismo per tutta la vita, e per questo sono stato ucciso da partigiani fiorentini dopo la mia adesione alla repubblica di Salò.
Prima intervistatrice: La sua esperienza culturale merita comunque rispetto. Vorrei portare l’attenzione su aspetti particolarmente innovativi del suo programma educativo, che mantengono tuttora la loro validità. Per esempio, il fatto che la scuola non debba puntare sul nozionismo o sull’imparare a memoria, ma sullo sviluppo del pensiero. A questo scopo lei ha raccomandato la lettura dei testi classici, delle letterature antiche e della letteratura italiana piuttosto che del manuale scolastico. Molto attuale è anche l’aver posto al centro della didattica la relazione tra il docente e lo studente, per non dire della libertà che deve avere il professore nell’insegnamento e infine l’importanza dello studio dell’arte. Indicazioni pedagogiche di grande valore. Tra queste ce n’è un’altra per noi di non poco interesse ma anche controversa: l’approccio storico allo studio dei fenomeni, che per lei doveva caratterizzare le discipline umanistiche. Anche questa indicazione, di hegeliana memoria, ci ha aiutato ad acquisire un metodo per contestualizzare una teoria, un pensiero politico, un evento. Eppure questa impostazione diventa una gabbia quando ci costringe a interpretare il pensiero di un filosofo come sviluppo di quello delle filosofie precedenti ed anticipatore delle successive. E’ una visione sicuramente riduttiva delle diverse filosofie e per di più esclude che ci possano essere svolte rivoluzionarie nello sviluppo del pensiero. Ma vogliamo essere per sempre conservatori? Da decenni il mondo della scuola vuole anche una didattica per temi o per problemi, che affronti i grandi interrogativi soprattutto del presente.
Seconda intervistatrice: Hai fatto bene cara collega a sottolineare questi aspetti. Sono tuttavia obbligata a chiedere al nostro ministro di render conto di alcune contraddizioni. La prima: come si concilia la libertà di insegnamento del docente con i programmi da portare ai numerosi esami che lo studente deve affrontare fino alla fine della scuola superiore? Come poteva il professore coltivare la creatività nel lavoro scolastico e nello stesso tempo svolgere quei dettagliati e ampi programmi? E ancora, come poteva il docente esercitare la libertà di insegnamento se in ogni scuola regnava il preside – duce, che sottoponeva a un rigido controllo tutta la comunità scolastica? Intendo poi riprendere una questione cruciale. Lei indica la finalità della scuola nell’educare al pensiero e alle attività espressive. Ma il pensiero non può essere solo riservato ad alcuni, si sviluppa attraverso la circolazione delle idee. Siamo d’accordo? E allora perché un percorso così poco istruttivo ed educativo per i ragazzi dei ceti inferiori nella scuola complementare, quei ragazzi che dopo la classe quinta venivano avviati a seguire corsi dai programmi molto modesti? La loro è stata definita dal liberale Piero Gobetti la “scuola dei servi” che li destinava ad inserirsi nel mondo del lavoro come manodopera senza nessuna qualificazione. E vogliamo poi parlare delle studentesse?
Giovanni Gentile: Ragazze però… Mi sto sentendo sempre più messo in discussione. A saperlo, non avrei accettato il vostro invito
Prima intervistatrice: No professore, non vogliamo metterla in difficoltà e apprezziamo molto la sua disponibilità. La prego di continuare a dialogare con noi.
Giovanni Gentile: D’accordo… prego…
Prima intervistatrice: Dicevamo: la scuola e le ragazze.
Giovanni Gentile: Ah accidenti… So che sto per dire delle cose che preferirei non dire… E così sia. Quando sono diventato Ministro della pubblica istruzione, la presenza delle studentesse nelle scuole secondarie era sensibilmente aumentata rispetto al periodo precedente la Prima guerra mondiale. Un numero eccessivo però, che andava a affollare le aule scolastiche dei licei e che rendeva meno efficace la didattica. Era necessaria, perciò, una scuola per le ragazze. Per questo ho istituito il liceo femminile, non per dare loro una professione né per dare una pesante preparazione all’università.
che, bisogna dirlo, non hanno e non avranno mai né q
Seconda Intervistatrice: Sia sincero. Non stima le ragazze al pari dei ragazzi. Non è lei che scrisse nel 1918 che le donne sono prive di “quell’originalità animosa del pensiero, né di quella ferrea vigoria spirituale che sono le forze superiori intellettuali e morali dell’umanità”? E’ una dichiarazione che abbiamo trovato in una ricerca sulle origini del patriarcato. Ritornando alla scuola, però le ragazze poi non si iscrissero e il liceo femminile fallì. Questa circostanza le suggerisce qualcosa, professore?
Giovanni Gentile: Bene, non ho niente da aggiungere, se non chiedere: ma queste domande, le avete preparate voi?
Prima e seconda intervistatrice: (assentono con un cenno del capo)
Giovanni Gentile: Allora direi che il mio liceo classico prepara bene tutti, ragazze e ragazzi. E ora devo andare, mi scuserete…
Ho pensato di scrivere una nuova opera: “L’apologia di Giovanni G.” Mi aiuterà forse…
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