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Incendio in California

Data: 15 Aprile 2025

Di: Elisa Buttini

Nella notte del 7 Gennaio, scoppiò un grande incendio nella contea di Los Angeles, questa tragedia provocò una trentina di vittime e altrettanti dispersi e danni per 250 miliardi di dollari, migliaia di case vennero distrutte, devastando una delle zone più belle della California.

L’incendio sembra essere dovuto a una serie di concause: guasti alla rete elettrica, siccità e venti di Santa Ana che hanno propagato l’incendio coprendo un’area vastissima.

Il viaggio mi pareva infinito, non erano nemmeno due ore che ero in viaggio ma mi erano sembrate sei: il paesaggio era monotono, strade lunghe e desertiche, mi sembrava quasi di rimanere ferma in un attimo immobile nel tempo e nello spazio.

Mi sembrava  che fosse cominciato tutto ieri e invece era già trascorsa una settimana: i nonni li potrò rivedere quest’estate, mi mancheranno ma del resto ci sono abituata a vederli raramente. Era una sensazione strana, l’afa e il caldo dell’Arizona iniziavano a darmi alla testa in quei soffocanti metri quadri del mio posto auto.

Pensavo a  cosa avrei ritrovato al mio ritorno, mi angosciava il fatto di non sapere cosa aspettarmi al mio rientro, forse la mia era una delle case di cui parlavano i giornalisti, anzi direi forse tutto il mondo. Una casa ridotta in macerie, irriconoscibile, non più quella in cui ero cresciuta e che mi aveva cullato fino a quando quest’inferno era iniziato, fino a quando mia mamma ancora sorrideva. È sempre stata un persona molto solare, anche quando il mondo le cadeva a pezzi, per non farmi preoccupare mi mostrava sempre quel grande sorriso e quella sua risata contagiosa che almeno apparentemente tutto scacciava. Da qualche giorno a questa parte invece, era sempre per i fatti suoi, spesso era in camera sua a telefonare oppure era coricata sul letto immersa nei suoi pensieri… sembrava quasi che si fosse dimenticata di me, della sua amata bambina di  dodici anni che non riusciva più a dormire tranquilla. Avevo bisogno di lei in questo momento, erano giorni che sentivo la necessità di un suo abbraccio o di una chiacchierata leggera, ma mi sembrava da egoista chiederglielo: dovevo cavarmela da sola, in fondo ormai sono grande e lei è troppo impegnata per avere un altro peso a cui badare. Mio papà guidava e mia mamma aveva gli occhi dritti sulla strada, era ancora una volta assorta nei suoi pensieri tanto che per richiamare la sua attenzione la dovetti chiamare per ben tre volte: “Mamma, mamma, mamma”

 “Sono qui Rachel dimmi”

 “Mamma tra quanto arriviamo, non ce la faccio più!”

 “Il viaggio è ancora lungo piccola, non siamo nemmeno a metà strada”.

Non ce la facevo più ad aspettare. Papà aveva acceso la musica: era la mia canzone preferita, “Let it Be” dei Beatles; la ascolto da quando sono piccola e mi ha sempre messo di buon umore, ma non stavolta, la tensione si arrampicava fino ad arrivare alla gola, e poi sentivo che cercava di soffocarmi, il respiro era sempre più veloce, i pensieri in testa non riuscivo più a controllarli, ero sudata e affannata, il battito accelerava sempre più… forse era solo il caldo Sì, era solo il caldo ne sono convinta…non c’è nulla di cui preoccuparmi, appena arrivo a casa mi faccio una bella doccia e poi vado subito nel mio letto, così domani potrò andare al solito bar con Kate, pensai.

Mamma, che aveva distolto lo sguardo dalla strada per poi riporlo sul telefono, si accorse del mio respiro rumoroso e mi chiese se stesse andando tutto bene. Decisi di fare come lei mi aveva sempre mostrato: un respiro e un grande sorriso per poi risponderle: “Certo mamma, tutto bene, magari abbassiamo un po’ il finestrino che qui dentro c’è un bel caldo”. Non so se  quella di abbassare il finestrino fu una buona idea dato che entrò solo dell’afa e il sole accecante mi proibiva la vista sulla strada, quindi decisi di rialzarlo.

Dopo ore di brutti pensieri e tentativi di addormentarmi ci riuscii e questo fu un bene: si sa che dormire è la salvezza quando vogliamo che il tempo scorra velocemente; quando mi svegliai, infatti, mancava solo una mezz’oretta.

Passammo di fronte alla mia scuola. Ci misi qualche minuto a riconoscerla, non era più lei, il cortile dove io e Kate passavamo ogni intervallo era ricoperto di polvere e macerie: dove avremmo ora potuto giocare a rincorrerci oppure a nascondino? Dove avremmo potuto  ripassare per l’interrogazione o copiare gli ultimi compiti mancanti? Non riuscivo più a distinguere la mia aula, era l’ultima del piano terra, non c’era più, era a pezzi. Ero incredula: cercai di convincermi che stavo ancora sognando e che si trattasse solo di un brutto incubo e che una volta sveglia sarebbe tornato tutto alla normalità. Quando però, due isolati dopo, intravidi la mia scuola di danza, non ce la feci più e scoppiai in lacrime come una bambina: era in rovine. Il parco attorno, nel quale abitualmente ci riscaldavamo, era completamente bruciato: al posto dell’erba c’era un insieme di polvere, paglia e pezzi di muro, la struttura non stava più in piedi, erano solo pochi resti ammassati; proprio lì era custodita la mia più grande passione, dove mi potevo sfogare, lasciare tutti i pensieri al di fuori di quella porta, porta che ormai non esisteva più: “ora avrei proprio bisogno di ballare, pensai tra me e me.”

D’un tratto la macchina si fermò in un viale, mi chiesi il motivo, quel posto mi sembrava familiare, ma non lo riuscii a riconoscere, il dolore più grande però arrivò quando mio padre ci disse di scendere dalla macchina perché eravamo arrivati a casa. 

Scoppiai, non mi potei più trattenere, l’unica cosa che mi passò per la mente fu quella di fuggire e fu proprio ciò che feci: corsi, non sapevo dove stessi andando, ma corsi, non saprei per quanti metri lo feci forse potrei addirittura parlare di kilometri.

Il mio letto a cui ogni notte avevo confidato i miei segreti e le mie paure era bruciato, la mia cameretta che mi ha visto gioire, piangere, arrabbiarmi, ridere, sclerare era ridotta in macerie, il mio bagno che mi ha visto farmi bella per le occasioni importanti o piangere perché mi vedevo grassa non c’era più, nulla era rimasto.

La mia casa a cui tanto ero affezionata, che mi ha visto nascere e crescere, aveva perso l’identità, come accadeva ai guerrieri omerici se il loro corpo non veniva seppellito, a soffrire per secoli tra le vie dell’Ade, chissà se anche i miei ricordi stanno vagando insieme alle anime dei defunti guerrieri. Questo incendio non solo si è portato via la mia casa ma anche un milione di ricordi.

Tante domande ora mi sto ponendo, chissà se è solo un brutto incubo e se tra qualche ora mi sveglierò nel mio letto ansimando, chissà se riusciremo, mattone per mattone, a ricostruirla com’era una volta, chissà se invece dovrò cambiare città o addirittura paese, mi sento disorientata e infine mi chiedo  se tornerò mai alla mia vita di qualche settimana  fa.

 

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