Il sonno della ragione genera mostri: recensione sulla mostra di Goya
Data: 18 Gennaio 2023
Tag: Cultura
Di: Viola Delveno
Per chi non conosce nulla della vita e del percorso artistico di Goya, possiamo dire che nasce in Spagna nel ‘46, si trasferisce a Madrid e trova lavoro presso una fabbrica di cartoni per arazzi dove il re, rimasto impressionato dai suoi lavori, gli conferisce il titolo di ritrattista della famiglia reale, rendendolo quindi pittore di corte.
Segue il re nei suoi viaggi durante il periodo di guerra, esperienza che lascerà un segno indelebile nella sua percezione della realtà, e andrà a plasmare il suo stile.
Durante il primo periodo a corte i soggetti dei suoi dipinti erano per lo più cortigiani spensierati, che tendeva a ritrarre nei momenti più allegri delle loro giornate, ad esempio nell’opera “il parasole”;
Goya, tuttavia, non aveva fiducia nel governo e nel nuovo monarca e le opere realizzate in questo periodo riflettevano perfettamente l’immagine che aveva del sovrano e, con il tono ironico e satirico caratteristico del tempo, ne annunciavano l’imminente decadenza, portando l’artista a scontrarsi con la stampa.
Arrivato a un punto in cui percepiva il suo incarico come un’oppressione, decise di allontanarsi temporaneamente dalla corte, ma fu proprio in questo arco di tempo che una terribile malattia gli portò via l’udito e lo costrinse a letto non permettendogli temporaneamente di dipingere.
Questo evento lo sconvolse completamente, tanto da apportare dei cambiamenti stilistici più che rilevanti: vengono introdotti i temi più onirici grazie ai quali lo conosciamo oggi, che esprime attraverso la serie dei Capricci, ovvero una raccolta di dipinti che rappresentano i pensieri più stravaganti dell’artista sulla condizione umana, grazie ai quali riusciva a descrivere senza veli tutti i mali, gli errori e i vizi che siamo soliti arginare e nascondere, portandolo nuovamente a essere in netto contrasto con la censura spagnola.
Divenne testimone di una pagina importante della storia del suo Paese,
occupato dalle truppe di Napoleone e toccato da un’ondata di patriottismo che portò il popolo a insorgere contro l’invasore francese.
Ha fissato momenti notevolmente importanti di questo periodo in alcuni dei suoi dipinti più famosi: come la fucilazione del 3 maggio 1808 a Madrid.
La realtà che viviamo noi oggi ha proiettato una visione ancora più diretta sulle sue opere perché i mali da lui rappresentati avvelenano ancora i giorni nostri: la violenza dei potenti, gli abusi di potere, l’ignoranza, la rassegnazione alla miseria e l’ostentazione della ricchezza non sono storie antiche appartenenti a un lontano passato, il sonno della ragione e i mostri da esso generati continuano a esistere nella medesima forma.
In particolar modo i capricci sono un tentativo di Goya di illuminare le menti dei cittadini spagnoli riguardo una serie di vizi e condizioni che senza la giusta consapevolezza verrebbero considerati abituali.
Possiamo dire che una novità dell’ultima epoca sia senza dubbio stata la tecnologia, in particolare gli strumenti (il lavoro della macchina sta andando a rimpiazzare quello della mano), ecco perché è importante tenere a mente lavori come quello di Goya, che vanno a far luce sulla condizione disastrosa che ormai non possiamo far altro che portare avanti.
All’interno della mostra esposta a Palazzo Pigorini dal mese di Settembre al mese di Gennaio, sono esposti i capricci, ottanta incisioni che a prima vista sembrano una grande galleria di caricature; sotto a ognuno si trova una targhetta che ci fornisce il titolo in lingua originale e una frase ad esso correlata:
“Il mondo è una maschera di volti, costumi, tutto è menzogna. Ognuno vuole apparire ciò che non è, ognuno inganna il prossimo e non si conosce nessuno.”
Da ‘Nadie se conoce’, che ritrae alcune figure mascherate e agghindate con indumenti piuttosto appariscenti in una sala da ballo.
Il messaggio è che la nostra società è composta perlopiù da informazioni, contratti, ideali esclusivamente fasulli: ciò che ci viene proposto è in realtà un modello irraggiungibile e che comporterebbe un mutamento completo di qualunque condizione siamo abituati a vivere. Tutto ciò però non è possibile e per rispettare alla lettera anche solo uno di questi costrutti sociali l’unica alternativa (ovvero quella che stiamo attuando ora e che viene illustrata nel dipinto) sarebbe la finzione, indossare una maschera, dissociandosi e nascondendosi.
“Hanno talmente fretta di ingozzarsi che mangiano bollente.” Da ‘Estas Calientes’, in cui vengono raffigurati alcuni uomini seduti a un tavolo, con espressioni sofferenti in volto, probabilmente perché, come la frase della targhetta ci introduce, ciò che il dipinto vuole comunicarci è il fatto che l’impazienza verso ciò che si vuole ottenere e il tentativo di appropriarsi di esso prima del previsto non ci porta a nulla che non sia un risultato diverso da quello che ci aspettavamo (e, nella maggior parte dei casi, deleterio).
“Dopo che le hanno ingravidate, le mettono in prigione. Sono vittime della loro sensibilità.” Da ‘por que fue sensible’; qui viene evidenziata l’influenza (in questo caso negativa) delle emozioni sull’essere umano e oltre la sensibilità anche l’ansia, la rabbia, la paura e il coraggio influiscono sulle azioni che compiamo, e quindi sulla costruzione del nostro futuro; imparare a dominarle è essenziale, perché esserne limitati porta conseguenze dannose, che non ci permettono di proseguire la vita come vorremmo. L’autosabotaggio è uno dei mali peggiori che avvelenano l’uomo.
“Non svegliatele! Il sonno è spesso l’unico conforto degli infelici.” Da ‘Las rinde el Sueno’, l’infelicità è causata dalla più lesiva abitudine dell’uomo: pensare.
Il pensiero non è controllabile, vaga per conto suo tra altri mille e senza un ordine preciso va da una parte all’altra della mente, trascinandosi dietro altri mille pensieri e generando in particolare sensazioni come la malinconia, vagheggiando tra ricordi passati, l’orgoglio nel ricordare qualcosa che siamo fieri non esista più, la gioia accennando a qualcuno… troppi pensieri non ci permettono di fare cose nuove, e di fare progressi nella vita.
Il sonno potrebbe essere l’unica ancora di salvezza da questo mare di liberi pensieri in tempesta: dormendo il nostro cervello si abbandona all’inconscio, una zona da cui emergono tutte quelle sensazioni che non siamo in grado di tenere sotto controllo, dove non abbiamo modo di pensare razionalmente e quindi di ostacolare il perseguimento dei nostri fini.
Infine, vorrei concludere con il pezzo a parer mio più significativo e senza dubbio più conosciuto esposto alla mostra: Il sonno della ragione genera mostri.
Nonostante la versione presentata non fosse quella originale, anche solo osservarlo in quel contesto mi ha consentito di rifletterci attentamente, confermandolo uno dei miei dipinti preferiti e più significativi.
Il soggetto è un uomo addormentato su un tavolo che riprende il titolo del quadro, attorniato da animali mostruosi, tra cui alcuni che richiamano figure conosciute (la lonza nell’inferno di Dante) o personaggi noti inseriti con intento satirico.
Goya era un dichiarato illuminista, e considerava la ragione un ideale più che necessario per migliorare le condizioni dell’umanità.
Il protagonista, lasciandosi sopraffare dal sonno, lascia libero il suo inconscio e fa sì che ne scaturiscano sagome mostruose, nate dai suoi peggiori incubi.
Il significato è che tutto ciò che è fatto senza l’uso della ragione conduce l’uomo verso un’oscurità abissale, verso cui ormai siamo condannati.
Il ridestarsi di questa ragione ormai non porterebbe a nulla, lo scopo principale della mostra è dichiarare che la nostra condanna è già stata firmata e il limite più che oltrepassato, ma per dare origine a meraviglie abbiamo comunque bisogno della nostra consapevolezza.
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