Il Preside, un appello alla responsabilità: ” Riaprire subito le scuole è stato un po’ un azzardo, però ci proviamo”
Data di pubblicazione: 10/01/2022
Scritto da: Emma Nicolazzi Bonati
“Stiamo camminando un po’ sul filo del rasoio”, però il Preside rimane fiducioso. Il Romagnosi? “Ci sono le condizioni per essere in sicurezza”. Ma la responsabilità rimane un fattore fondamentale, dentro e fuori dalla scuola.
Un rientro in classe tinto di incertezza. È questa la sensazione preponderante che si avverte nel mondo della scuola, da giorni scosso dalle polemiche e dalle preoccupazioni destate dalla decisione da parte del Governo di tornare in presenza subito dopo le festività natalizie. Un clima che si giustifica guardando i dati: il 23 dicembre il tasso di positività era al 4%, con poco più di 40.000 casi, al 22% con 108.304 casi registrati il 7 gennaio, giornata in cui in parte degli edifici scolastici sono riprese le lezioni. Abbiamo intervistato il Preside per avere una sua opinione riguardo al rientro e per sapere come il Romagnosi si è attrezzato per affrontare i prossimi mesi.
Preside, a fronte dell’aumento dei contagi, un gruppo di circa 2000 presidi aveva presentato al Governo la richiesta di chiudere gli edifici scolastici per due settimane svolgendo le lezioni in Dad. All’appello dei presidi, si è aggiunto anche quello di Filippo Anelli, presidente della Fnomceo (Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri), che suggerisce di riaprire gli istituti tra due settimane, recuperando poi a giugno. Ma il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi continua ad insistere sul rientro in presenza, evitando il ricorso alla DaD, che a suo parere in questo momento “sarebbe un errore”. Qual è la Sua opinione in merito?
Io avrei probabilmente prolungato le vacanze di almeno quindici giorni per studiare la situazione e vedere le condizioni, perché il rischio di “tenere duro” per una settimana e poi chiudere è molto alto. Visto, però, che il Governo ha deciso diversamente e il giorno dopo è arrivato l’appello dei presidi, che, senza colpa di nessuno, in qualche modo era fuori tempo, in questo momento quello che possiamo fare è cercare di fare le cose nel modo migliore possibile, cioè cercare di “tenere”. “Tenere” vuole sostanzialmente dire che ognuno deve prendersi un po’ la responsabilità di tutti gli altri, non solo a livello organizzativo presidi ed insegnanti, ma ogni persona che vive dentro la comunità scolastica deve sapere che in qualche modo è responsabile del fatto che la sua scuola resti aperta o no. Ci vuole responsabilità sia dentro che fuori dalla scuola, perché all’interno i comportamenti sono molto osservati, proceduralizzati. È vero, possono esserci alcuni problemi, ad esempio all’intervallo, però stamattina ho visto la maggior parte degli studenti con maschere ffp2. Insomma, secondo me c’è una grande attenzione. Quindi, l’unica cosa che possiamo sperare è che nel giro di una settimana non ci siano troppi docenti o troppi collaboratori in malattia, troppi studenti contagiati e che, pertanto, si debba ricominciare la DaD di classe e la frequentazione a singhiozzo. Stiamo camminando un po’ sul filo del rasoio. Riaprire subito le scuole è stato un po’ un azzardo, però ci proviamo.
Circa il 10% di assenze tra docenti e personale tecnico-amministrativo a livello nazionale: questa è la stima fatta dall’Anp (Associazione nazionale presidi) rispetto al rientro di oggi (10/01). Uno scenario per nulla rassicurante, né tantomeno di facile gestione. Nella nostra scuola complessivamente tra studenti e docenti quali sono i numeri?
Noi abbiamo numeri un po’ più bassi. Per quanto riguarda gli studenti oggi l’8% (cioè una settantina) è in malattia, ovvero è a casa e non partecipa alle lezioni. A questi si aggiungono circa 90 studenti presenti ma a distanza per vari motivi. Noi abbiamo lasciato un range di motivazioni molto alto: dall’avere sintomi all’aver avuto un contatto fino all’essere positivo o in quarantena. Tutti gli altri studenti, quindi circa 700, sono in presenza. La situazione oggi a scuola è buona, bisogna vedere se riusciremo a mantenerla nei prossimi giorni. Per quanto riguarda il personale abbiamo numeri minimi: probabilmente uno o due insegnanti e una collaboratrice scolastica. In questo momento è tutto molto sotto controllo.
Quindi didattica mista è una realtà già presente…
Sì, assolutamente. È una cosa a cui ormai siamo e siete abituati. Secondo me, anche se è una didattica con un’efficacia completamente diversa rispetto a quella totalmente in presenza, finché si tratta di piccoli numeri – una, due, tre persone per classe – è meglio mantenere la presenza piuttosto che mandare tutti a casa.
Parlando di quarantene, ritiene che le nuove disposizioni siano ragionevoli?
Sono molto macchinose… dipende poi dagli ordini di scuola e dalla popolazione scolastica. Sono pensate per un’organizzazione perfetta e il mondo umano non lo è. Quindi, ci sono previsioni che sono assolutamente irrealizzabili. Penso alle scuole elementari, dove quando c’è un caso è previsto un tampone al giorno zero e un tampone al giorno cinque, ma questo t0 e t5 non è realistico: i presidi si trovano in difficoltà, non sanno cosa fare, non sanno se sospendere la frequenza e non sanno quando arriveranno questi tamponi. Sono procedure che in teoria funzionano, ma nei fatti rischiano di non funzionare, soprattutto se il numero di casi supera un certo livello. Il rischio è che invece di fare tante distinzioni si passi subito da classe in presenza a classe a distanza, mentre queste posizioni intermedie con i due casi per cui gli studenti vaccinati starebbero in classe, i non vaccinati o guariti da più di tre mesi starebbero a casa… tutte queste sono difficoltà molto grandi che impongono anche una verifica e, quindi, un ulteriore aggravio del lavoro in un momento in cui ci sono già assenti. Insomma, poco realistico.
In caso di due casi positivi, come farà a sapere quanti e quali sono gli alunni non vaccinati, quelli che non hanno ricevuto la dose di richiamo o hanno completato il ciclo vaccinale da più di 120 giorni e quelli che sono guariti da più di 120 giorni?
Quando parlavo prima di responsabilità individuale pensavo anche a questo. Ritengo che una classe è come una famiglia, è una comunità, e le persone che non sono vaccinate o sono guarite da più di 120 giorni o vaccinate da più di 120 giorni stiano a casa, perché lo sanno e si sentono responsabili del mondo che sta intorno a loro oltre che di se stessi. Dopodiché, ovviamente faremo dei controlli. Per la prima volta la norma, cioè il decreto legge che è stato approvato, ci autorizza a verificare lo stato vaccinale dei presenti. Vuol dire che faremo controlli a campione: entrerà una collaboratrice scolastica nella classe, chiederà il green pass con l’App di verifica e verificherà che tutti ce l’abbiano. È una misura che va attuata per garantire serietà alla vicenda, anche se immagino che non ci sia una persona che non rispetta queste regole, almeno qui dentro. È chiaro che poi in altre situazioni è più difficile, soprattutto se i bambini sono piccoli e magari ci sono famiglie straniere che hanno più difficoltà con la lingua: in questi casi è più facile che non si riescano a gestire queste sottigliezze.
Ritiene che da parte del Governo vi sia stato uno scarico di responsabilità sui presidi e, più in generale, sulla comunità scolastica?
Lo scarico noi lo viviamo da molto tempo, ma è anche vero che in una situazione di emergenza nazionale non possiamo aspettarci che tutti i problemi siano risolti da qualcun altro. Mi pare, però, chiaro che sempre di più il ruolo dei dirigenti si stia espandendo, nel senso che noi ci dobbiamo occupare effettivamente di cose che non fanno parte del nostro lavoro, della nostra funzione, comprese appunto verifiche di tipo sanitario. Credo che qualche volta la cosiddetta autonomia della scuola sia stata un po’ scambiata con il fai da te e, ripetendo il mantra “l’importante è tornare a scuola, il ritorno sarà sicuro”, questo “sarà sicuro” sia stato un po’ scaricato sulle spalle delle singole scuole con un aiuto che è limitato. Pensiamo soltanto alle mascherine ffp2 che, pur con prezzo calmierato, comunque costano e il cui costo sarà scaricato su tutte le famiglie, mentre, per esempio, avremmo potuto avere una dotazione di mascherine adeguate, come c’è stata nel passato con le maschere chirurgiche al di là della qualità. Allo stesso modo, anche se ha un impatto limitato, poteva essere fatto uno screening di entrata a scuola, così come è stato fatto in alcune regioni. In Emilia-Romagna se ne è parlato, però poi non si è fatto nulla. Altre questioni riguardano, per esempio, la questione eterna del numero di studenti per classe. È chiaro che in una classe con 31 studenti le possibilità di contagio sono più alte che in una classe con 20. Queste classi così grandi, soprattutto dei primi anni, non sono buone non solo per i motivi sanitari ma anche per motivi didattici. Insomma, ci sono una serie di elementi che potevano o potrebbero essere risolti a livello centrale senza lasciare il problema solo alla gestione locale.
A proposito di vaccinati e non, Lei sa quali sono le percentuali nella nostra scuola?
Noi non abbiamo nessun dato, anche perché finora non era permesso. C’è una previsione esplicita del garante per la privacy che impedisce alle scuole di chiedere informazioni e dati su questo argomento, anche se poi classe per classe più o meno i ragazzi stessi e forse un po’ anche gli insegnanti hanno un’idea. L’impressione è che nella nostra fascia, quindi nelle scuole superiori, il livello di vaccinazione sia molto alto e che stia salendo. Penso sia alto perché ormai senza il Green Pass non si va più da nessuna parte, quindi ritengo che questo abbia funzionato come un incentivo molto forte alla vaccinazione. Lo scopriremo quando avremo la prima classe con due casi.
Lei riterrebbe giusta l’introduzione del Super Green Pass anche nelle scuole?
Allo stato attuale riterrei giusta la vaccinazione obbligatoria per tutta la popolazione. L’idea che mi sono fatto, ma qui mi addentro in argomenti che sfuggono alle mie competenze, è che in questo momento l’unica difesa che abbiamo che permette di non far saltare il sistema sanitario sia questa. Non è una posizione ideologica, è una posizione penso anche pragmatica. Quando ce ne saranno altre abbracceremo le altre, però non vedo alternative considerando le terapie intensive che scoppiano o gli ospedali intasati, tra l’altro con un problema molto grande per tutti quelli che hanno altre patologie e le cui visite e interventi sono rimandati. Adesso sembra che esista solo il Covid, ma un letto in terapia intensiva impegna una quantità di personale molto più alta rispetto ad un letto normale e questo personale viene sottratto alle cure normali. È un problema anche di tenuta del sistema. Uno può dire “investiamo di più sulla sanità”, “assumiamo più persone”, “più terapie intensive”: su questo sono d’accordo, però c’è anche una questione di equilibrio. Io oggi non vedo una cura farmacologica altrettanto efficace, non vedo altro, nonostante la prospettiva di dover fare la sesta, la settima, l’ottava dose di vaccino non mi renda felicissimo.
Il Ministro Bianchi ha affermato che “si torna in presenza e in sicurezza”. A Suo avviso oggi la scuola, nello specifico la nostra, è un luogo sicuro per affrontare questa nuova ondata?
Partiamo dalla nostra: rifacendomi alla mia esperienza di questi mesi in questa scuola, grazie ai suoi ambienti e a come è fatta, nella maggior parte delle classi per me la risposta è sì. Non solo per gli spazi grandi, per le grandi finestre, ma anche per il comportamento degli studenti. Chiunque viene da una scuola del primo ciclo e vede un intervallo o momenti di uscita e di entrata sente una differenza enorme: qui c’è molto ordine, molto silenzio. Ovviamente ci sono alcuni comportamenti che vanno migliorati, però di base le condizioni ci sono per essere in sicurezza. Non si può dire di tutte le scuole, ma perché, per esempio, ci sono scuole che hanno aule piccolissime con un elevato numero di studenti. Bisogna anche considerare che i bambini mangiano a scuola in mensa, da noi non c’è la mensa, quindi molti potenziali problemi sono eliminati alla radice. Nell’ultimo decreto legge nelle note del Ministero dell’Istruzione c’è scritto che si raccomanda di non assumere pasti a scuola a meno che non si sia in grado di mantenere la distanza di almeno 2 metri, ma questi 2 metri non esistono da nessuna parte, quindi sono raccomandazioni campate in aria, che non hanno rapporto con la realtà. Noi siamo in una situazione piuttosto fortunata.
Come dichiarato dal sottosegretario del Ministero dell’Istruzione Roberto Sasso, da marzo ad oggi è stato stanziato circa 1 miliardo di euro per la messa in sicurezza delle scuole, escludendo quelli derivanti dal Pnrr. Quanti soldi sono arrivati in concreto al Romagnosi? E come sono stati utilizzati?
In quest’anno scolastico al Romagnosi sono arrivati € 38.000. Noi li abbiamo utilizzati soprattutto per acquisti di materiale di pulizia. Ultimamente abbiamo comprato un’idropulitrice e strumenti che servono per disinfettare l’ambiente spruzzando nelle aule più spaziose. Inoltre, abbiamo comprato mascherine ffp2, e stiamo rinnovando l’ordine, per intervenire in emergenza, ovvero, per esempio, se alcuni studenti non hanno la mascherina ffp2 in classi in cui dovrebbero indossarla oppure stiamo pensando di darle noi, come scuola, ai collaboratori scolastici tutti i giorni. Abbiamo investito molto nello sportello della consulenza psicologica sia quest’anno che l’altro anno e abbiamo ampliato il contratto che c’era perché il numero di persone che si sono rivolte allo sportello è cresciuto esponenzialmente. Crediamo che la presenza della psicologa sia veramente molto importante: la gestione di questa emergenza non è soltanto una questione tecnica, è anche una questione mentale, spirituale e di tenuta psicologica. Lo scorso anno è stata acquistata anche strumentazione informatica sia per computer che potevano essere dati poi a studenti in DaD sia per rinnovare la dotazione informatica del liceo. Lo stiamo facendo anche quest’anno. Infine, i fondi sono stati utilizzati per la formazione di sicurezza sia per alcuni studenti che per il personale. Noi non abbiamo comprato come altre scuole sanificatori d’aria, perché la loro efficacia non è condivisa da tutti: sicuramente fanno bene, ma non si può dire che eliminino il virus. Recentemente ho letto un articolo uscito su Altroconsumo in cui alcuni esperti dicono che il vero strumento è il ricambio d’aria. Dovrebbe essere fatto nel migliore dei modi in modo forzato, come avviene in aereo o nei treni ad alta velocità, che hanno un impianto di ventilazione forzata per cui l’aria di fuori viene buttata dentro e viceversa. Noi questo lo facciamo manualmente con le finestre aperte: non è fantastico, però è il modo più efficace che esista.
Non si potrebbero utilizzare impianti di forzatura dell’aria come quelli dei treni?
Per avere lo stesso strumento, bisognerebbe avere sistemi in ogni aula. Il costo di questi impianti è molto elevato, molte migliaia di euro per classe con le opere di muratura, quindi il prezzo sarebbe superiore a qualsiasi finanziamento che noi possiamo avere.
Si tratta di fondi che dovevano essere gestiti autonomamente da ogni singolo istituto. Pensa che anche questo sia stato uno scarico di responsabilità da parte del Governo?
Questa soluzione è giusta. Io personalmente andrei sempre di più verso questa direzione: il Ministero dovrebbe darci degli obiettivi e gli strumenti per raggiungerli, poi ogni scuola potrebbe decidere cosa fare per raggiungerli, come impiegare finanziamenti e risorse. La scuola che dirigevo prima era una scuola come questa, ma con bisogni diversi, quindi imparagonabile: nonostante contino dati come il numero di alunni e la misura delle superfici, il tipo di politica e di strategia da utilizzare è completamente diverso. Questa deve essere responsabilità della dirigenza e della singola scuola. È chiaro che alcune iniziative più importanti devono, invece, essere promosse o imposte dal Ministero. Ad esempio, se il Ministero ritenesse che la ventilazione forzata o i sanificatori d’aria dovessero essere installati in tutte le classi, dovrebbe dare alla scuole un finanziamento apposito e poi controllare che con quei fondi sia stato realizzato quanto richiesto.
Prima di concludere, c’è qualcosa che vuole dire agli studenti e alle studentesse?
In questa scuola ho un senso di mancanza, ossia mi piacerebbe incontrare di più gli studenti e le studentesse. Ho incontrato i rappresentanti sia del Consiglio d’Istituto, che quelli delle varie classi, anche se brevemente; ogni tanto giro per i corridoi, anche se non spesso perché di solito sono “incatenato” qui nel mio ufficio. Mi piacerebbe incontrarli di più per sentire di più dalla loro viva voce cos’hanno da dire e da raccontare. In questo senso il questionario che avete compilato e che adesso stiamo studiando è stato un modo per ascoltarvi. Quando arriveranno i risultati, sarà un modo per discuterne insieme, lo faremo. Ho questo bisogno, che mi piacerebbe soddisfare, di sapere di più quello che pensate e quali sono le vostre idee. Per il resto io sono molto contento quando vedo i corridoi pieni, le classi piene, i ragazzi qui a scuola che si parlano, che studiano, che costruiscono qualcosa insieme. Quindi, io spero che riusciremo a continuare e a rimanere in presenza in questo modo. L’appello che faccio sempre è alla responsabilità di ognuno, non solo a scuola, nella sua vita in generale. Credo sia anche una bellissima lezione, o pratica, o palestra di educazione civica, che servirà per tutta la vita.
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