Il pericolo di pensare e scrivere
Data pubblicazione: 4 Dicembre 2021
Scritto da: Margherita Ferioli
“C’è dunque un mondo di cui reggo le sorti indipendenti? Un tempo che lego con catene di segni? Un esistere a mio comando incessante? La gioia di scrivere. Il potere di perpetuare. La vendetta di una mano mortale.”
Da “La gioia di scrivere di Wisława Szymborska
Il 2021 è caratterizzato dal manifestarsi di involuzioni autocratiche come il colpo di stato in Myanmar in febbraio, la caduta di Kabul in agosto, il colpo di stato a Khartum, ma la sospensione delle libertà civili qualora si manifesti anche in un solo Paese rappresenta un drammatico impoverimento per ogni essere umano e pone l’Occidente e le comunità internazionali di fronte ad una sfida per la loro credibilità. I diritti umani sono universali. Per questo la crisi del Myanmar, spesso percepito come uno Stato alle periferie del mondo, ci riguarda tutti. Nell’ambito di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020-2021, si sono svolte una serie di conferenze che hanno portato alla luce la critica situazione birmana il cui cammino verso la democrazia sotto la guida di Aung San Suu Kyi è stato interrotto dal colpo di stato e dal ritorno della dittatura militare.
Come riferito da Alessandra Schiavo, ambasciatrice italiana a Yangon, in Myanmar il monopolio della vita politica si è subito tradotto in rigide forme di limitazione alla libertà di espressione attraverso perquisizioni e requisizioni di materiale, azioni legali contro i giornalisti, arresti, censure, sospensioni o revoche delle licenze a testate giornalistiche “scomode” ed emanazione di leggi liberticide, che criminalizzano la diffusione di notizie critiche verso il regime e pongono restrizioni anche al dominio online. L’esercito, come ricorda Mratt Kyaw Thu, giornalista birmano freelance, controlla il main stream e le testate ufficiali diffondendo false notizie per ottenere consenso in suo favore tanto che l’emittente statale MRTV è arrivata a comunicare che è proibito usare le parole “regime” e “colpo di stato”. Nell’ultima classifica mondiale per la libertà di stampa pubblicata da “Reporter senza frontiere” il Myanmar occupa il 140esimo posto risultando essere uno dei Paesi più pericolosi dove svolgere attività giornalistica. Ma il desiderio di fare giornalismo rimane e la totale mancanza di una rete di protezione per i giornalisti deve richiamare l’attenzione della stampa internazionale.
Eccezionale in Myanmar è stato infatti il coraggio di giornalisti, personale sanitario e giovani attivisti, divenuti protagonisti di un grande movimento di disobbedienza civile e di resistenza, mossi dalla speranza di un ritorno alla democrazia. E’ Sandra Zampa, già Sottosegretario di Stato al Ministero della Salute, a citare l’esempio di Danny Fenster, direttore della rivista online Frontier Myanmar, condannato a 11 anni di carcere con le accuse di terrorismo, diffusione di informazioni false circa il colpo di stato, istigazione alla rivolta popolare e violazione della legge sull’immigrazione. Detenuto da maggio, a seguito di numerosi appelli da parte della comunità internazionale, è stato rilasciato solo a novembre e si trova ora negli Stati Uniti. Più di 125 giornalisti sono stati arrestati dopo il colpo di stato, 45 di loro rimangono ancora detenuti, tra cui le giornaliste donne sperimentano condizioni di prigionia più dure a causa della misoginia dell’esercito. A fare di loro “veri” giornalisti, afferma Larry Jagan, specialista di Myanmar ed Asia, è il fatto che rimangano in prima linea, spostandosi ogni giorno da una casa all’altra poiché la loro sicurezza personale è in pericolo, lontani dalle loro famiglie, spesso arrestati, torturati ed interrogati per diverse settimane, ma sempre pronti a documentare con coraggio lo sviluppo degli eventi attorno a loro.
[Danny Fenster]
Tuttavia nel panorama asiatico il Myanmar non è il solo Stato in cui si assiste alla crisi della democrazia e alla soppressione della libertà di espressione.
In Cina, che occupa una delle ultime posizioni nella classifica per la libertà di stampa, il giornalismo viene spesso bollato come propaganda poiché molti giornali esprimono narrative in linea con il governo, tuttavia sono presenti un margine di opinione pubblica, protagonista di inchieste su tematiche sociali, e nuove piattaforme sulle quali fare giornalismo come ad Hong Kong. Lorenzo Lamperti, editorialista di China Files, mette in luce la situazione particolare vissuta da Taiwan, scelta come meta di espatrio per diversi giornalisti cinesi. Nella nazione asiatica permangono diverse criticità come la debolezza strutturale dei media e il basso livello di professionalità, la mancanza di protezione legale per i giornalisti, l’esigenza di un intervento normativo e la sfiducia dell’opinione pubblica verso i media locali e dei politici verso i giornalisti stessi.
In Giappone invece, come riportato da Giulia Pompili, giornalista de Il Foglio, esiste una corporazione che protegge chi lavora nel campo giornalistico, ma conduce ad una settorializzazione e ad un appiattimento del giornalismo stesso bloccando la libera iniziativa.
Mentre la Corea del Sud dagli anni 80’ vive un processo di liberazione dell’informazione dal controllo autoritario, l’unico giornalismo autorizzato in Corea del Nord è di adesione al regime, cosa che rende difficile realizzare reportage sul campo a seguito anche della pandemia, della chiusura dei confini e della cacciata dei diplomatici e degli operatori sanitari stranieri.
Infine è Francesco Radicioni, inviato per Radio Radicale, a parlare della Thailandia in cui vigono leggi sulla lesa maestà estremamente draconiane in quanto prevedono l’incriminazione dei giornalisti che pubblicano all’estero articoli riguardanti la monarchia e la condanna a 15 anni di carcere per ogni reato.
La libertà di espressione è dunque tutt’altro che scontata e per questo rimane uno degli indici più importanti del livello di democrazia e di rispetto dei diritti umani di un Paese. A 10 mesi dal colpo di Stato, la rilevanza della crisi del Myanmar permette di continuare a mantenere alta la pressione multilaterale sul regime. Per superare la crisi sono evidenziate da Ranieri Sabatucci, ambasciatore UE in Myanmar, alcune possibili soluzioni: il dialogo tra il regime e le opposizioni, le sanzioni imposte dagli organismi internazionali per minare gli interessi dei militari, il sostegno agli operatori in particolare quelli dell’industria tessile, che vedevano un fiorente mercato di esportazione in Europa, ma vivono oggi l’isolamento internazionale, privati della preparazione per affrontare le sfide globali e coglierne i benefici. In conclusione, non dimentichiamoci dei giornalisti birmani. Non dimentichiamoci dei giovani birmani. Non dimentichiamoci del Myanmar!
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