Gli occhi degli altri
Data pubblicazione: 15 Novembre 2021
Scritto da: Elena Mora
[Immagine: Carrozza passeggeri, Hopper]
Quando entrò nella carrozza passeggeri, trovò un tappeto di luce calda a segnare il suo cammino verso il sedile. Si sedette, contemplando di nuovo lo spettacolo della luce che giocava a riflettersi sul vetro dei finestrini. Gli era sempre piaciuta la luce, trovava in essa qualcosa di meravigliosamente rassicurante. Fissò le ombre che la luce produceva sui volti delle altre persone.
In effetti, era la prima volta che ci pensava, ma era proprio la luce a creare le ombre. Un paradosso. Uno di quei paradossi che piacevano a lui e che facevano scervellare il mondo intero. In generale, Michael non cercava la risposta ai problemi, così come non cercava di scoprire il colpevole nei libri gialli. Prendeva la vita come veniva ed era intenzionato a stupirsi, sempre, nel bene e nel male.
Michael tastò il sedile e si accorse di una piccola leva grigia. La tirò, senza pensarci troppo, e sentì uno stridio fastidioso. Il sedile cambiò lentamente posizione, fino a rivolgersi in direzione della porta. No, così non andava bene. Le porte non erano un grande spettacolo, a meno che non fossero porte babilonesi e allora, forse, sarebbero potute andare bene.
Tirò di nuovo la leva grigia, sentì il rumore stridente e tornò a guardare in faccia la luce.
Fissare una porta significa fissare qualcosa che ti ostruisce la vista, fissare una finestra significa guardare qualcosa che ti allarga gli orizzonti e che fa viaggiare la fantasia.
Il mondo scorreva veloce sotto i suoi occhi. Poteva vedere qualche raro casale, degli alberi, in generale un bel po’ di cielo blu zaffiro. E, mentre fissava ciò che vedeva, la sua mente era già alla destinazione: Parigi. Per un inglese come lui, Parigi era una forza della natura.
Già pensava alla Tour Eiffel, agli Champs-élysées, alla cultura parigina…e a tutto quello che non conosceva e che avrebbe scoperto. Gli erano sempre andati a genio i francesi. In generale, gli unici che non gli andavano a genio erano proprio gli inglesi come lui.
Improvvisamente, Michael fu investito da un torpore gentile. Era come se qualcuno gli avesse messo una mano sugli occhi e stesse facendo di tutto per chiuderglieli. Lui, però, non cedette. Il viaggio era troppo breve per passarlo dormendo. Si sarebbe perso milioni di cose. Forse, cose che interessavano solo a lui, ma questo era già un ottimo motivo per non cedere a Morfeo.
Poteva quasi sentire il ferro delle rotaie sotto di lui, il motore girare, il capotreno mormorare sommessamente. Poteva percepire i chilometri percorsi, lo smog che produceva il correre incessante del treno, gli sbalzi prodotti dallo sfregamento delle ruote sulle rotaie…
Percepiva tutto questo senza percepirlo veramente, sentiva la vita scorrere nella corsa del treno. Sentiva il mondo che correva con lui, pur restando sempre allo stesso posto, sempre uguale.
“Sentiva il mondo che correva con lui, pur restando sempre allo stesso posto, sempre uguale.“
Una donna, in quel momento, si alzò. Era seduta poco distante da lui, aveva i capelli castani raccolti e due occhi un po’ troppo vicini. Non fece molto. Si alzò, si stiracchiò un poco, gettò un sorriso in giro per la carrozza e si risedette.
Michael fu improvvisamente preso da quella donna. C’era un che di strano in lei, proprio come c’è qualcosa di strano in tutti noi.
Aveva un tailleur simile a quello che aveva indossato Jackie Kennedy il giorno più brutto della sua vita, ma era nero e molto meno ricercato. Portava i tacchi un po’ troppo alti, si vedeva che non le stavano bene indosso, perché continuava a toglierseli e rimetterseli, pensando di non essere vista. La sua acconciatura era particolarmente graziosa, ma così graziosa che doveva essere sicuramente stata fatta per un’occasione importante. Chissà dove andava, quella donna. Intendiamoci, andava a Parigi, come tutti coloro che erano in quella carrozza, ma perché andava a Parigi? Quale luogo di Parigi avrebbe esplorato?
Notò che la donna aveva un grosso anello al dito. Che stesse andando a trovare il suo fidanzato? Forse stava andando a sposarsi, ecco, probabilmente sì, ma in quel caso avrebbe dovuto portare una valigia molto più grande per farci stare il vestito e gli oggetti personali. E non aveva un’aria troppo felice.
La donna aprì la valigia e ne trasse fuori un giornale. Non andò a vedere le notizie del giorno, né la cronaca nera. Andò a vedere la pagina dei necrologi. Ecco. Era vestita di nero, doveva pensarci subito! Stava andando al funerale di un parente lontano. Però…
Ora che ci pensava, non era felice, ma non era nemmeno addolorata. Era…per così dire…preoccupata, ecco. Ma preoccupata per che cosa? Aveva forse qualcosa da nascondere riguardo alla morte di quel parente? Quegli occhietti piccoli nascondevano qualcosa di malvagio? Michael si aggrappò al sedile con tutte le sue forze. Ebbe lo stranissimo impulso di scappare, di andare via e restare per sempre nascosto nell’oscurità. Ora che ci pensava, la luce non era un buon nascondiglio. La luce lo stava tradendo, così tirò di scatto la leva e si girò in direzione della porta. La donna aveva alzato gli occhi verso di lui. Forse la strega aspettava solo quello. Che lui si spaventasse. Ma non gliel’avrebbe data vinta, no. Non l’avrebbe data vinta a quella donna. Tirò di nuovo la leva, guadagnandosi l’occhiataccia della strega. Ecco! Aveva avuto ragione. Ora il piano della megera andava in fumo, qualsiasi esso fosse. In effetti, nell’oscurità anche la strega poteva nascondersi, mentre alla luce avrebbe dovuto per forza colpire di fronte. E se mai avesse colpito, lui gliel’avrebbe fatta pagare, gliel’avrebbe fatta pagare davvero. Ecco, ecco, la donna si stava di nuovo togliendo le scarpe. Voleva attirare la sua attenzione, ovviamente. Ma lui sarebbe rimasto imperturbabile. Non gliel’avrebbe data vinta. Lui era più forte. Ah, quella donna avrebbe dovuto pensarci molto, molto bene prima di colpire! Ma molto, molto bene…
La luce lo rasserenò di nuovo. Il suo sguardo, stavolta, cadde su una donna che stava seduta poco lontano.
Era una donna particolarmente bella, sui venticinque anni. Francese, presumibilmente. Aveva un che di terribilmente francese. Era bionda, con i capelli raccolti e due gambe lisce e perfette. Aveva un vestito blu notte, dal quale sbucavano due mani dalle dita affusolate e un collo regale. Regale nell’aspetto, ma non nell’animo. Aveva due occhi blu e tristi, che cercavano di mascherare la loro tristezza con un sorriso dolcissimo. Michael provò una gran compassione per quella donna. Chissà che cosa la aveva riservato la vita finora. Forse dei lutti, forse delle disavventure, probabilmente stava andando a Parigi per costruirsi una nuova vita e per abbandonare quella di prima. Bella com’era, aveva avuto sicuramente un marito. E poi, quel cane l’aveva lasciata, e lei si era ritrovata in un mondo che non era suo. Come avrebbe voluto proteggerla, quando fosse stato necessario! A Parigi, la donna cercava la speranza. Si vedeva lontano un miglio che era un’intellettuale, una donna che sapeva il fatto suo, forte e con ideali fermi. Una donna coraggiosa. Lei alzò lo sguardo e gli sorrise, poi tornò a fissare un foglio di carta che teneva fra le mani. Stava scrivendo delle parole, anche se, da dove si trovava, Michael non avrebbe potuto distinguere quali esse fossero. Aveva un viso d’angelo, un viso da bambina, forse stava scrivendo le parole che l’avevano fatta stare bene nella vita, e quelle che le ricordavano chi era.
Michael avrebbe voluto correre da lei e darle una carezza, anche solo per vedere il suo volto stupito o il suo sorriso gentile. Probabilmente stava scrivendo una poesia, probabilmente era una poetessa. Sì, era una poetessa dal cuore d’oro, che aveva visto le brutture della vita e che ora voleva superarle. Forse, forse le sarebbe servito qualcuno. Qualcuno che stesse al suo fianco, che la proteggesse e che ascoltasse le sue poesie.
Michael si scoprì innamorato di quella donna, che era tanto bella e tanto buona. I suoi sogni d’amore vennero interrotti dalla domanda di un uomo con il cappello, a lui rivolta. Gli chiese se fosse, per caso, già stato a Parigi. Michael aveva alzato gli occhi al cielo e gli aveva risposto di no. L’uomo si giustificò, dicendo che avrebbe voluto chiedergli qualcosa sulle attrazioni principali. A quelle parole, Michael sbottò che non c’era bisogno di chiedere per sapere. Esistevano i libri, le carte, le mappe e gli atlanti, esisteva perfino la televisione, se proprio ci teneva. L’uomo con il cappello, imbarazzato, s’inabissò nel suo sedile.
Ecco, quella era la tipica persona ipocrita e banale. Uno che aveva bisogno di chiedere informazioni per avere dei dati che qualsiasi persona con un minimo di cervello avrebbe potuto trovare da sola. Quell’uomo era il tipico turista. Uno che va in un posto, solo perché tutti ci vanno. Tanto per dire di esserci stato. Probabilmente, la sua vita era assolutamente monotona e banale e odiava quando qualcuno glielo faceva notare. Sono tutti così, gli ipocriti. Pensano di essere straordinari e, quando qualcuno fa loro notare che non è vero, vanno su tutte le furie. La banalità fatta persona, ecco l’essenza di quell’uomo. Anche solo il fatto che avesse un cappello lo dimostrava. Che bisogno c’è di portare il cappello in treno? Ma lui, ah, lui era speciale. Lui doveva distinguersi dagli altri per far credere di essere qualcuno di speciale. Quando invece sapeva benissimo la verità.
Passò la maggior parte del tempo restante a contemplare la meraviglia della poetessa, poi, quando fu annunciato l’arrivo, scese dal treno tutto contento e si diresse verso la meravigliosa luce che illumina con il suo splendore la terra di Parigi.
Si era appena girato. E poi si era girato di nuovo. Le stava facendo venire il mal di testa. La cosa peggiore era che continuava a fissarla, con quei suoi occhi vigili e attenti. Un pazzo, pensò Julia. Le scarpe facevano attrito con i piedi nudi e le davano un immenso fastidio. L’uomo sussultò. E ora, cosa vuole questo? Julia non ci fece troppo caso e continuò a sistemarsi la scarpa. Però, ora che ci pensava, era proprio un poverino, quel signore. Continuava ad agitarsi come un bambinetto, non stava fermo un attimo. Poverino lui, ma poverino il signor Jacques. Aveva avuto una morte davvero strana. Gli avevano sparato in bagno, ma la porta era chiusa e la finestra pure. Dall’interno. Certo, ci sarebbe stato da lavorare. Per fortuna, il commissario le aveva dato carta bianca. Guardare i necrologi, comunque, era sempre un bene. Ci si poteva fare un’idea di chi attorniava la vittima. C’erano i tre figli, la moglie, l’ex moglie, gli amici…quel tipo di nome Hamilton le sembrava un po’ strano. Ti ho voluto bene. Veramente. Aveva scritto questo nel necrologio. Perché specificare “veramente”? Forse, per giustificare un delitto? La detective Julia Grant continuò a fissare il giornale e, dopo poco, si addormentò. Louise Delacroix aveva preso di nuovo un grosso pesce. Quel buffo signore continuava a guardarla con occhi adoranti. E pensare che oggi non era nemmeno in forma perfetta! Louise adottò la tattica del cagnolino abbandonato. Fare gli occhi dolci, sistemarsi ogni tanto i capelli…e il gioco era fatto. Scrisse sul foglio l’ultimo dei nomi con cui aveva preso appuntamento a Parigi. Non che fosse una cercatrice di dote. Più che altro, cercava l’avventura, la passione…niente di serio. La cosa impressionante era che tutti abboccavano. Era una pescatrice, e sapeva pescare. Quell’uomo le faceva quasi pena, poveretto. In fondo, era questo il mestiere degli uomini, nella sua opinione. Louise Delacroix si sistemò l’abito e sorrise dolcemente a quello
strambo viaggiatore. Jack Crayle era visibilmente imbarazzato, eppure era anche parecchio scocciato. Quell’uomo si atteggiava con una tale aria di superiorità che lo faceva vomitare. E sì che lui voleva soltanto attaccare bottone! Erano ore che stava muto, ma evidentemente avrebbe dovuto rispettare il silenzio per un’altra oretta buona. A pensarci bene, quella era una di quelle persone che si possono definire assolutamente banali. Uno di quelli che ha bisogno di fare il sostenuto perché il suo castello di carte non crolli. Uno di quelli che non può abbassarsi a parlare con te, perché sa che, se lo facesse, si scoprirebbe subito che quello che si deve abbassare non è lui. Jack Crayle sospirò. Quel tipo era palesemente rimasto un adolescente, di quelli che credono di essere al centro del mondo. Un po’ come Ann. Chissà se il collegio le aveva fatto bene… Jack si addormentò, pensando che Ann, dopotutto, era la figlia migliore che potesse desiderare.
Elena Mora
Ultimi articoli pubblicati: