Giustizia riparativa: quando Abele ha fame di perdonare Caino
Data pubblicazione: 30 Novembre 2021
Scritto da: Carlo Alberto Alfieri
“Non dimenticatevi di Caino” così recita l’omelia del vescovo di Brescia durante i funerali per le otto persone che, il 28 maggio 1974, trovarono la morte nella strage di Piazza della Loggia.
Proprio dei “Caino” e degli “Abele” si è parlato il 12 novembre all’Auditorium Paganini alla conferenza “Vivere e non sopravvivere” incentrata sulla giustizia riparativa, spiegata e descritta in ogni suo particolare da chi in prima persona ne ha fatto esperienza.
“Non sa tenere un cecio” così Agnese Moro scherza con Franco Bonisoli e Adriana Faranda, ex brigatisti che furono tra i responsabili del rapimento che 43 anni fa portò all’omicidio di suo padre, Aldo Moro.
Franco e Adriana ancora si commuovono quando sono chiamati a ricordare e raccontare della loro giovinezza e del loro primo incontro con Agnese, che è prova tangibile di come in fondo, anche davanti alle peggiori atrocità e sofferenze, l’umanità dell’uomo non vada mai smarrita.
È proprio questo ciò che traspare dalle parole di ognuno di loro, umanità e senso di unione; sebbene in passato le loro vite si siano incrociate nella maniera più lontana da quella che potrebbe portare al tipo di legame che ora li lega, grazie ad un arduo e lungo percorso sono riusciti a ricomporre quella frattura incorsa nelle loro vite, a seguito dei crimini di un’epoca sanguinosa della storia del nostro paese.
Questo è il lungo viaggio della giustizia riparativa, che ha portato al confronto i due opposti, vittima e carnefice, che grazie alla mediazione e al dialogo si sono liberati dalla “dittatura del passato”, che li incatenava alla sofferenza. Non è stata dunque la punizione esemplare a dare pace al dolore delle vittime, messo in evidenza dai processi penali, ma l’incontro e il confronto tra persone in quanto tali e non più in quanto reo e parte lesa.
“Io adesso vi ammazzo tutti” , queste sono le prime parole che Giorgio Bazzega, figlio del maresciallo Sergio Bazzega ucciso da un brigatista, riporta dal suo primo incontro di giustizia riparativa. Rabbia e frustrazione legittime, ma non solo, c’è spazio anche per la naturalezza e la semplicità che ci si aspetterebbe da due amici di lunga data. Agnese Moro, infatti, descrive così il suo primo incontro con Franco Bonisoli: “L’ho invitato a casa mia e lui è arrivato con un fiore e una pianta”.
Un saliscendi di emozioni fra la rabbia, la vergogna ma anche naturalezza e spontaneità tra persone che la vita aveva diviso, riunite però grazie al sentimento di riconciliazione che ha portato a una reale rielaborazione delle violenze fatte e subite. Le stesse necessità sono state sentite, dopo l’omicidio del padre magistrato, da Fiammetta Borsellino, che si è strenuamente battuta per avere la possibilità di incontrare Giuseppe e Filippo Graviano, responsabili della strage di via D’Amelio.Spesso, infatti, la vittima, come rivela Fiammetta Borsellino, deve indossare solamente le vesti di un dolore silente, che spesso si pensa possa essere curato dagli ergastoli, quando al contrario è forte l’urgenza emotiva di prendere la parola, a cui lei ha risposto presente.
In aggiunta, è necessario rieducare il colpevole non attraverso il silenzio della punizione, ma tramite il dialogo della riparazione, permettendo a vittime e colpevoli di capire insieme il motivo scatenante della follia del reato. Rivelano infatti i presenti che la domanda che ha accomunato assassini e vittime è “Come hai potuto?”, domanda a cui ancora oggi faticano a trovare risposta. Tuttavia, quanto detto non significa trascurare il valore di ciò che è scritto in maniera indelebile nel passato e nei codici di legge, che hanno comunque l’importante compito di sancire cosa la nostra società accetti e cosa no, specialmente dopo un periodo come quello degli anni di piombo, quando ci si serviva della violenza come un’arma per difendere la propria ideologia politica e prevalere sull’altro.
A riguardo colpiscono le straordinarie parole colme di razionalità di Manlio Milani, che perse la propria moglie in Piazza della Loggia a Brescia.Manlio, infatti, non si dimentica di sottolineare che in un contesto di tal genere non bisogna trascurare le responsabilità condivise di vittime e colpevoli, che hanno parimenti contribuito alla creazione di un generale clima di ostilità. Ma i presenti oggi si definiscono come “un gruppo di amici”. È dunque possibile un nuovo modo di fare giustizia, che esula dagli ergastoli e dalle pene esemplari, chiamando in causa la forza del dialogo e dell’incontro, che non mette in scena unicamente il dramma della sofferenza ma anche l’umanità degli individui, che diventano parimenti protagonisti come uomini, con colpe e sofferenze.
Questa nuova forma di giustizia potrebbe essere la via maestra verso una comunità di individui, dove finalmente regnano giustizia e solidarietà, o forse come scrisse Aldo Moro nelle sue lettere dalla prigionia
“Il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete, ma è pur sempre un grande destino ”
L’uomo probabilmente per sua natura e conformazione non riuscirà mai a raggiungere una giustizia piena. Tuttavia, i presenti sono la perfetta dimostrazione di come l’uomo sappia da una parte essere violento, ma dall’altra possa anche riconoscere se stesso nell’altro, come un suo fratello, che in passato è stato Caino, ma non è stato dimenticato e ha ottenuto il perdono in ultimo appello, non per concessione di una legge, ma del suo stesso fratello che ha trovato la forza e il coraggio di perdonare.