CENTOCINQUE
Data: 25 Novembre 2023
Tag: Attualità
Di: Maria Chiara Priolo
(Questo articolo è stato scritto prima dell’uccisione di Rita, 106esima vittima di femminicidio in Italia)
[Immagine: Frida Kahlo, Unos cuantos piquetitos]
Centocinque sono le donne vittime di femminicidio in Italia dall’inizio del 2023 fino ad oggi. Centocinque sono le mogli, madri, sorelle, figlie e morose uccise da mariti, fidanzati, figli, padri, ed ex compagni. Centocinque sono i corpi di donne senza più una voce.
L’ultimo caso è quello di Giulia Cecchettin, non morta, ma uccisa dall’ex fidanzato e trovata senza vita il 18 Νovembre nei pressi del lago di Barcis in provincia di Pordenone. Giulia aveva quattro anni più di me, frequentava l’università e avrebbe dovuto laurearsi cinque giorni dopo la sua scomparsa. Filippo Turetta, suo assassino ed ex partner, ha ventun’anni ed anche lui è uno studente universitario e, nell’ultima settimana, è stato descritto dalla famiglia e dall’avvocato Emanuele Compagno come un “bravo ragazzo” che amava Giulia e, addirittura, “le faceva i biscotti”.
Insomma, apparentemente un ragazzo come i tanti che incrocio per strada quotidianamente, a cui mi siedo accanto in autobus o di cui vedo le foto sui social, un ragazzo normale. Forse è questa la cosa che più di tutte mi ha angosciata, il fatto che a me sarebbe potuta succedere la medesima cosa e che non è da escludere la possibilità che io possa essere la prossima.
La prima volta che ho appreso della scomparsa di Giulia Cecchettin è stato domenica 12 novembre, tramite una storia su Instagram che chiedeva di avvertire in caso la ragazza fosse stata avvistata. Per tutta la settimana ho cercato di rimanere il più aggiornata possibile sulla sua sparizione ed ogni giorno ho sperato che fosse il giorno in cui sarebbe tornata a casa, questo perché avevo paura che potesse succedere il peggio. Ho il brutto vizio di aver fiducia nella bontà e nell’umanità delle persone, credo sia per questo che all’inizio, ingenuamente, ho scelto di sperare nella teoria della “fuga d’amore” e che, passato qualche giorno, i due avessero avuto troppa paura di tornare a casa a causa del grosso movimento mediatico e della preoccupazione che si erano sollevati. La mia speranza è quasi totalmente svanita il 16 novembre, giorno in cui la ragazza avrebbe dovuto laurearsi, ho iniziato a pensare che in questa fuga l’amore non c’entrava proprio niente e che Giulia non l’aveva scelta, ma sempre con l’augurio che sarebbe tornata a casa dalla sua famiglia. Invece il peggio è successo, come tutte le altre volte.
«Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima»
recita la poesia di Cristina Torre Cáceres, ricondivisa da tutta Italia dopo sabato scorso. Perché l’ultima non può essere Giulia? Perché noi non possiamo distruggere tutto? Perché non possiamo far sì che tutto questo male smetta di accadere? Perché dobbiamo continuare ad essere terrorizzate? Mi sento impotente e colpevole per non sapere come reagire concretamente, come poter cambiare le cose. Mi sento colpevole ad aver paura, ripetendomi che devo poter vivere libera, senza impormi restrizioni comportamentali, senza pensare a con chi sarebbe meglio uscire la sera e con che vestiti sarebbe meno pericoloso farlo. Come è possibile risolvere tutto questo? Come sarebbe possibile far sì che Giulia sia, se non l’ultima, una delle ultime donne uccise da ex fidanzati, compagni, mariti e padri? Impariamo ad educare i nostri figli e fratelli all’amore reale basato sul rispetto dell’altra persona, insegniamo loro che la violenza è da condannare e mai un’opzione. Distruggiamo tutto per Giulia e tutte le altre donne uccise, facciamo sì che non possa esserci una centoseiesima.
“L’ultima”, testo completo:
Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma.
Se non ti dico che non torno a cena. Se domani, il taxi non appare.
Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada o in un sacco nero (Mara, Micaela, Majo, Mariana).
Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia (Emily, Shirley).
Non aver paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata (Luz Marina).
Non gridare quando vedi che mi hanno trascinata per i capelli (Arlette).
Cara mamma, non piangere se scopri che mi hanno impalata (Lucía).
Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato abbastanza, che era il modo in cui ero vestita, l’alcool nel sangue.
Ti diranno che era giusto, che ero da sola.
Che il mio ex psicopatico aveva delle ragioni, che ero infedele, che ero una puttana.
Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare molto in alto in un mondo senza aria.
Te lo giuro, mamma, sono morta combattendo.
Te lo giuro, mia cara mamma, ho urlato tanto forte quanto ho volato in alto.
Ti ricorderai di me, mamma, saprai che sono stata io a rovinarlo quando avrai di fronte tutte le donne che urleranno il mio nome.
Perché lo so, mamma, tu non ti fermerai.
Ma, per carità, non legare mia sorella.
Non rinchiudere le mie cugine, non limitare le tue nipoti.
Non è colpa tua, mamma, non è stata nemmeno mia.
Sono loro, saranno sempre loro.
Lotta per le vostre ali, quelle ali che mi hanno tagliato.
Lotta per loro, perché possano essere libere di volare più in alto di me.
Combatti perché possano urlare più forte di me.
Perché possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho vissuto io.
Mamma, non piangere le mie ceneri.
Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.
-Cristina Torre Cáceres.
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