Baby gang o allarme disagio giovanile?

02/02/2022

Scritto da: Eloisa Marvasi

Con il termine “baby gang” intendiamo il fenomeno di microcriminalità (scippi, piccole rapine, minacce e lesioni) che si sviluppa nelle città, dalle più grandi a quelle di provincia, come tristemente noto negli ultimi mesi Parma e Fidenza.

Protagonisti sono ragazzini di giovanissima età (tra gli 11 ed 18 anni) che prendono di mira i coetanei in modo particolare perché più vulnerabili: essi usano violenza e/o minacce per impossessarsi di vestiario, cellulari o pochi euro. Nei casi più gravi, impiegano anche coltelli e producono lesioni fisiche.

Tutto ciò genera paura e disagio nella popolazione che si sente in balia di un fenomeno difficilmente arginabile dal momento che se ormai sono note le cause del fenomeno, meno chiari sono i rimedi contro di esso.

Tra le cause, psicologi e psicoterapeuti (come quelli dell’ “Osservatorio dell’adolescenza”) concordano ormai:

1. nella mancata funzione educativa svolta dalla famiglia incapace di creare valori di rispetto e capace invece di delegare alla scuola la responsabilità educativa dei ragazzi;

2. nella ormai delegittimazione della scuola, quasi sempre “attaccata” da genitori coalizzati con i figli per i brutti voti ed etichettata come incapace di fornire articolate risposte educative (che non competono nella misura richiesta);

3. nell’isolamento conseguente a due e più anni di pandemia, nei quali ai ragazzi è stata negata la socialità che ora dilaga in maniera negativa;

4. nell’adolescenza sempre più precoce che non permette un’adeguata distinzione tra i valori e i disvalori e proprio per questo la emulazione di atteggiamenti verso i leader “forti”

5. nel vivere costantemente la pseudo-realtà dei social network dove le azioni riprovevoli vengono presentate come eroiche e, dunque, da emulare.

Meno chiari appaiono i rimedi per arginare il fenomeno: è chiaro che devono rispondere le autorità competenti (con miglior controllo delle zone interessate al fenomeno, magari unito alla presenza di agenti in borghese), ma anche le stesse vittime delle aggressioni (denunciando i colpevoli alle autorità giudiziarie, evitando dunque di minimizzare l’accaduto o di assumere un atteggiamento di omertà nei confronti di questo).

È altrettanto vero che il processo minorile è improntato al recupero dell’autore del reato ed alla prevenzione che non ne commetta altri: dunque, la prevenzione è il miglior strumento di lotta contro il fenomeno. Questo comporta, però, un dispiego di mezzi economici ed un impegno non attuabile in tempi brevi. Occorrerà, dunque, in primo luogo:

1. fornire un supporto alle famiglie affinché sviluppino, ove non ne siano capaci, la loro funzione educativa. I servizi sociali competenti per il territorio dovrebbero essere chiamati a ciò, ma gli scarsi investimenti (di mezzi e personale) rendono quasi impossibile l’attuazione del processo;

2. potenziare i centri di aggregazione, attraverso le associazioni (soprattutto di volontari) numerosi nel nostro territorio, in modo che i ragazzi “deboli” trovino alternative al bivacco nelle zone del centro ed al compiere i loro atti illeciti;

3. potenziare, con figure di riferimento, il ruolo preventivo che la scuola può offrire, specie nel mettere in guardia sull’uso smodato dei social, nei quali si annida non la verità, ma la “virtualità” di comportamenti che non hanno nulla di eroico;

4. a “giochi fatti” far comprendere che gli autori che hanno recato danni a persone e cose di tutti. E così indirizzare gli autori alla consapevolezza di ciò, mediante lavori socialmente utili (come la

prestazione di ore in comunità di disabili o in ambiti di conservazioni di beni artistici ed ambientali)

In conclusione, al potenziamento delle misure preventive deve seguire, per legge, la giusta punizione, ma anche e soprattutto l’educazione al disvalore dell’atto compiuto perché non è pensabile che Parma, nel 2021, sia stata, anche in relazione al fenomeno delle baby gang, la prima città in classifica negativa per giustizia e sicurezza

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