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After the fall

Data pubblicazione: 5 Febbraio 2022

Di: Elena Mora

[Immagine: Joan Mirò, Constellations]

Infilai le mani nelle tasche e mi strinsi nel cappotto troppo leggero, mentre i miei passi facevano eco nella neve. Intorno a me, solo silenzio interrotto da tacchi stridenti.
Era la prima volta.
O meglio, non era vero: prima della guerra c’ero già stata mille volte; poi, però, era sparito tutto, senza lasciare tracce. Spesso arrivavo a chiedermi se fosse mai avvenuto.
E così, mentre camminavo, cercavo di ricordare com’era stato, quanto ci eravamo divertiti. Avrei voluto che, quella sera, tutto fosse esattamente come prima, ma non sarebbe stato così, lo sapevo.
Eravamo cambiati, la guerra aveva impresso tagli profondi nei nostri cuori e avrebbe continuato a girare il coltello nelle nostre piaghe, così evidenti, così profonde.
Molti di noi non c’erano più. Erano spariti nella terra, in mezzo al sangue di mille altri, lasciando dietro di sé solo un nome sul bollettino.
Da piccola, pensavo che il mio mondo fosse perfetto. E lo era: mentre ora, tutto era stato distrutto, era cambiato, io mi ero aggrappata con gli artigli al passato, mentre questo si sgretolava davanti ai miei occhi.
Ero diventata una naufraga, una straniera, ormai non conoscevo più il mio mondo.

“Ero diventata una naufraga,
una straniera, ormai non conoscevo
più il mio mondo.”

L’unica cosa che mi rimaneva era quella serata.
Dopo tanto tempo, come sarebbe stato? Avevo paura, una paura folle, perché quella sera volevo essere felice, soltanto felice, ma la vita mi aveva insegnato che le cose belle sono destinate a finire.
Arrivata davanti alla porta del locale, il mio pugno intirizzito batté due volte. Rumore di passi. Ero ancora in tempo per andarmene.
Il volto di Jamie mi aprì.
Dio, se era alto. Alto fino al cielo, non l’avevo mai notato prima. La luce nei suoi occhi, ormai, si era spenta. Ma stava cercando di accenderla di nuovo, solo per me.
“Ciao.”
“Ciao. Posso entrare?”.
Lui aprì la porta. Ci guardammo, poi avanzai, a piccoli passi. E crollai fra le sue braccia, a piangere in silenzio.
Quando mi addentrai nel locale, vidi che molte cose non c’erano più. Le sedie, i tavoli erano rimasti, ma arrugginiti. Il biliardo non c’era più, la piccola biblioteca era vuota, completamente vuota.
Loro, però, c’erano.
Sei ragazzi in totale, una stampella, qualche benda, sudore che colava dalla fronte, sei paia di occhi stanchi.
Però, c’erano. Erano, lì, cambiati. Lily aveva i capelli più corti, Toby aveva perso qualche pezzo, il silenzio era pesante, terribile.
Mi avvicinai, presi un bicchiere e, con le mani tremanti, lo sollevai.
“Ai sopravvissuti.” Sussurrai.
Il silenzio si trasformò in sei enormi sorrisi, sorrisi stanchi, ma brillanti, ma vivi.
Vivi, vivi…eravamo vivi!
Robert si sedette e iniziò a suonare. Una musica allegra, a tratti struggente, pervase l’aria. Jamie mi prese per mano, mi fissò, poi cominciò a ridere.
Eravamo bambini piccoli, che muovevano i primi passi nel mondo, passi di danza, imperfetti, imprecisi, ma veri, vivi, e soltanto nostri.
Quando Robert smise di suonare, la musica non si fermò. Continuò all’infinito, inondando tutta la città, tutto il mondo, fino a riempire il nero della notte.
Eravamo tornati.

Elena Mora

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