Lo stretto senza il ponte

di Simone Reverberi

I ponti sono stati costruiti sin dall’antichità, poiché da sempre vi è la necessità di agevolare i trasporti e gli spostamenti. Fin dagli umili ponti di corda in stile Tibetano sino ad arrivare a veri “giganti” come il ponte di Brooklyn, l’essere umano è sempre riuscito ad aggirare i limiti imposti dalla conformazione del territorio. E tuttavia ce n’è uno che ancora oggi, nonostante se ne parli da ormai 50 anni, non è ancora stato realizzato a dispetto delle risorse a cui possiamo accedere: il famigerato ponte sullo stretto di Messina. Un ponte che, almeno in teoria, dovrebbe collegare Sicilia e Calabria, permettendo ai cittadini di poter passare liberamente da un estremo all’altro senza più dover dipendere dai traghetti. Un ponte che però sembra essere sempre di più una mera fantasia. I problemi che sono sorti sono in piccola parte di tipo geologico, essendo la zona a rischio sismico, e in grande, grandissima parte di scandali politici: fra rimandi, appalti scomparsi e sprechi vari, la faccenda è ormai diventata una fiera del ridicolo. L’idea di costruire questo ponte risale addirittura ad appena qualche tempo dopo l’Unità d’Italia, nel 1866, quando l’allora ministro dei lavori pubblici Stefano Jacini affidò all’ingegnere Alfredo Cottrau l’incarico di realizzarne il progetto; Cottrau giudicò l’opera difficilmente realizzabile, a causa della complicata operazione di costruzione dei piloni, che dovevano essere posti in mare, oltre che all’effetto di erosione che l’acqua avrebbe avuto su questi. All’opinione di Cottrau si aggiunse, qualche decennio di progettazione dopo, che vide sfiorata perfino l’ipotesi di un tunnel subacqueo, il disastroso terremoto di Messina del 1908, che ricordò a tutti le precarie condizioni sismiche della zona. Nel 1909 fu quindi pubblicato uno studio geologico dell’area e nel 1921 si tornò infine a parlare della possibilità di costruire un passaggio sottomarino. L’ultimo tentativo prima della seconda guerra mondiale fu fatto dal generale del genio navale Antonio Calabretta, che propose l’idea di un ponte tra Punta Faro e Punta Pezzo; l’anno successivo il comandante Filippo Corridoni propose invece nuovamente l’idea del tunnel, stavolta in acciaio. L’idea dell’opera fu rilanciata nel 1952 dall’associazione dei costruttori italiani in acciaio, che incaricò l’ingegnere statunitense David Steinman di redigere un progetto preliminare e nel 1955 si procedette con uno studio geofisico del terreno e venne costituito il “Gruppo Ponte Messina S.p.A”, che resterà attivo fino al 1981, con la costituzione della società concessionaria “Stretto di Messina S.p.A”. Nel 1968 venne emanata la “legge 384”, che conferiva all’ANAS, Ferrovie dello Stato e CNR l’incarico di continuare a valutare la fattibilità dell’impresa. L’anno successivo si tenne un bando per acquisire progetti per la realizzazione dell’opera e ne vennero ricavati ben 143. Dopo diversi anni, durante i quali furono presentati numerosi altri progetti (spendendo grandi quantità di denaro), nel 1992 fu presentato il “progetto preliminare definitivo”, che sarà approvato nel 1994 dal governo Berlusconi; la cosa risulterà però in un nulla di fatto. Nel 2001 i due candidati alla guida del governo, Francesco Rutelli e Silvio Berlusconi, annunciarono il loro sostegno alla costruzione del ponte durante la campagna elettorale e nel 2003 il progetto fu ulteriormente modificato. Nel 2005 l’Associazione temporanea di imprese “Eurolink S.C.p.A” vinse la gara d’appalto come “contraente generale” per la costruzione del ponte stanziando ben 3.88 miliardi di euro ma il 4 novembre dello stesso anno la Direzione investigativa antimafia rilevò un alto rischio di interferenza di natura mafiosa nella realizzazione del ponte e venne quindi avviata un’inchiesta. Il governo Prodi bloccò l’iter il 10 aprile 2007, esponendosi ad una penale di più di 500 milioni di euro ma alla fine si riuscì ad evitare le spese più gravose accorpando la Società stretto di Messina all’ANAS, licenziando però numerosi dipendenti. Il nuovo governo Berlusconi (il 4o ormai) riconfermò il suo impegno nel realizzare l’opera nel 2009, dichiarando che i lavori sarebbero cominciati l’anno successivo. Ciò che accadde veramente fu l’ennesimo susseguirsi di un’infinità di progetti e conseguenti spese fino al 2011, quando la stessa UE non incluse il fantomatico ponte tra le opere pubbliche destinate a ricevere finanziamenti comunitari. L’allora ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteoli, però, confermò che la realizzazione del ponte sarebbe stata effettuata anche senza i fondi UE ma il 27 ottobre l’aula di Montecitorio approvò una mozione che impegnava il governo alla soppressione dei finanziamenti per il ponte sullo stretto. Nonostante ciò si tornò rapidamente a dire che il ponte “si farà”, opinione sostenuta soprattutto dal Ministro della difesa Ignazio Benito Maria La Russa. Queste si rivelarono però essere voci infondate, sicché il 30 settembre 2012 il ministro dell’ambiente del governo Monti Corrado Clini dichiarò che non vi era nessuna intenzione di riaprire le procedure per il ponte e che anzi si stava cercando di chiudere la faccenda il prima possibile. Vennero quindi pagati ben 300 milioni di penali, che andarono ad aggiungersi agli sprechi già precedentemente effettuati in nome di quest’opera. 8 anni dopo, nel 2020, l’idea di costruire il ponte fu ripresa in considerazione dal presidente del consiglio Giuseppe Conte e con l’avvento del governo Meloni qualche anno più tardi il ponte sarebbe divenuto il vero e proprio cavallo di battaglia del corrente ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini, che promise che la costruzione si sarebbe finalmente avviata entro il 2024. Il 16 marzo 2023 il Consiglio dei ministri del governo Meloni dispose la riattivazione della società Stretto di Messina S.p.A. (posta in liquidazione nel 2013) e il conseguente riavvio della progettazione per la costruzione dell’opera. Siamo oggi nel 2024e del ponte ancora neanche l’ombra. Se n’è parlato molto, come sempre ovviamente, ma alla fine, nonostante l’avvento di un governo che pareva essere così deciso a realizzarlo, così convinto nel suo slogan “più fatti, meno parole”, il ponte resta ciò che è sempre stato: una scusa utilizzata per coprire l’inattività governativa e soprattutto un immenso spreco di denaro. Già nel 2003 il conto totale dei soldi sciupati ammontava a 130 milioni, che è praticamente triplicato entro il 2013 con l’esorbitante cifra di 342 milioni di euro. Ad oggi, secondo un conto effettuato dalla giornalista Milena Gabanelli, per il ponte sarebbero già stati adoperati 1.2 miliardi di euro. Una cifra immensa, che sarebbe potuta essere impiegata in modi molto più costruttivi in settori con molta più necessità, come la sanità. Ma soprattutto, il ponte rimane una rampa di lancio sfruttata da politici per far propaganda senza vergogna.