Dogman
12 Novembre 2023
Tag: Ecologia, Recensioni
Di: Davide Cassanelli
“Ovunque c’è un infelice Dio manda un cane”:con questo incipit del film “Dogman” di Luc Besson. Eppure il protagonista, in prima battuta, pare un pazzo più che un infelice e, nonostante ciò, è padrone, nonchè protettore e protetto, di moltissimi cani. La pellicola pone così lo spettatore di fronte ad un quesito a cui non si dovrà cercare risposta: quello è compito di Evelyn, psichiatra assegnata al protagonista durante la detenzione.
Il film è, dunque, un grande dialogo di cui siamo e rimaniamo osservatori e di ciò ne è prova la tecnica narrativa. L’inizio è improvviso, in medias res e nulla è spiegato, né il nome del protagonista, né perché si trovi in prigione; è a questo punto che, con la sua entrata in scena, la psichiatra si rivela chiave di tutta la storia, dal momento che senza lei non si avrebbe alcun racconto. Ogni colloquio, ogni domanda di Evelyn, a cui segue sempre un flashback, aggiunge una traccia della vita di Douglas; il film si rivela così un continuo aggiungere pezzi al puzzle, ovvero il protagonista e, ad ogni tassello, è delineata sempre più la nostra risposta al quesito iniziale, all’infelicità di Douglas.
La tristezza del protagonista è straripante, esce da ogni parte, talmente tanta che ad un certo punto quasi si desidera non andare oltre: malmenato, trattato come un cane, privato di un dito e della facoltà di camminare dal padre; baciato dall’unica persona che ha mai amato, una giovane insegnante di teatro conosciuta all’orfanotrofio una volta allontanato dal padre e dal fratello, per scoprire subito dopo del suo imminente matrimonio e gravidanza. Infine, una volta trovato se stesso nell’ esibizione in un drag-show e sfiorata la felicità, viene assediato in casa propria e, pur uscendo vincitore, perde tutto.
Se Evelyn appare improvvisamente, i personaggi protagonisti della storia invece sono presentati tutti già nell’incipit e, per tutto il film, rappresentano una triade indissolubile: l’infelice, Douglas; Dio, che tutto muove, e infine i cani, la soluzione all’infelicità.
Coloro che spiccano su tutti sono però i cani, “gli unici che mi capiscono ed amano” secondo il protagonista: il rapporto che hanno con Douglas è, perciò, di reciproco amore, in loro è racchiusa la soluzione alla sua solitudine e infelicità. Infine vi è Dio che, pur non essendo mai rappresentato in scena è sempre presente, non solo nelle azioni ma anche nei numerosi dialoghi e ricopre, il ruolo di burattinaio della vita di ognuno, come dice Caleb Landry Jones, l’attore che magistralmente interpreta il protagonista. Di quest’ultimo, infatti, esprime ogni risata, pianto, urlo ed emozione.
La Francia di Luc Besson si ritrova nella musica, in particolare nella scena in cui il protagonista si esibisce nei panni di Edith Piaf, cantando “La Foule”, durante il drag-show.
Il film è triste, tragico, violento e in ciò colpisce lo spettatore che, uscito dal cinema, guarderà i cani in modo diverso: vedrà in loro non solo un animale ma felicità e, paradossalmente, più umanità che nelle persone comuni.
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