Fiori di roccia: la storia dimenticata delle Portatrici
Data: 6 Gennaio 2022
Tag: Cultura, Recensioni
Di: Margherita Ferioli
“E’ facile raccontare di scontri, di eroismi sui campi di battaglia, di eroiche imprese. Meno facile è ricordare e raccontare chi ha soffiato sulle braci ardenti per trasformarle in fuoco allegro. Meno facile è ricordare di esili, ma forti presenze“
Antonella Fornari
Sul confine della Carnia, nel 1915, sono rimaste solo le donne a prendersi cura degli anziani e dei bambini, mentre gli uomini sono tutti sui monti a combattere in prima linea: “la guerra ha arrestato la vita prima ancora di prendersela”. Tuttavia il comando in difficoltà si rivolge proprio a loro, le donne di Timau, per portare viveri, munizioni e biancheria pulita alle trincee e nessuna si tira indietro. Agata e trenta compagne, alcune poco più che bambine, escono infatti dall’ombra delle loro giornate stanche, indossando le gerle pesanti, incuranti del dolore alle spalle, incamminandosi in fila sui sentieri montani e divenendo anche loro soldati, a fianco degli alpini. Procedono con gli scarpetz ai piedi, le tipiche calzature friulane, cucite a mano con spago e panni vecchi, che rendono la loro salita silenziosa per non farsi scoprire dai cecchini austriaci nascosti sulla montagna. Il viaggio di ritorno è spesso più triste in quanto le donne sono costrette a portare barelle con i soldati feriti, o, molte volte, da seppellire. Ma le Portatrici rappresentano un vero e proprio reparto, sempre più numeroso ad ogni risalita, e la loro tenacia è delicata come una stella alpina: sono fiori di roccia, dedite alla cura, ma anche forti, capaci di scalare montagne, trasportare morti e curare feriti, combattendo con eroismo senza smettere di sognare e amare. “È come se la morte ci avesse chiamate alle armi per difendere la vita. Non possiamo attendere, né affidarci alla speranza. A volte penso che siamo noi la speranza. E siamo tante.” Con questo romanzo edito da Longanesi nel 2020, Ilaria Tuti celebra il coraggio e la resilienza delle donne, la capacità di abnegazione di contadine umili ma pronte a sacrificarsi per aiutare i militari al fronte durante la Prima guerra mondiale.
La natura è silenziosa spettatrice del dramma umano, “pulsa di vita, continua a germogliare […] mentre l’uomo soccombe a suo fratello” e con essa le Portatrici instaurano un dialogo quasi primitivo come quello di Agata con il diavolo bianco, un cecchino austriaco ferito, che incontra improvvisamente nella neve e che sconvolge la sua vita, il colore della carnagione ed il biondo dei capelli così chiari da essere diversi, ma lo sguardo così spaventato da essere uguale a tutti. “E così l’ho intravisto, smarrito quanto me, famelico di giorni futuri, questo nemico così simile ad un uomo. […] Può la paura unire invece che dividere?” I sentimenti umani e la pietà di Agata travalicano la brutalità della guerra e la divisione fra schieramenti nemici, facendo trionfare quello che di buono c’è nell’uomo. “Si erano riconosciuti l’uno dell’altra, e perdonati”.
Alla memoria di Maria Plozner Mentil, una delle compagne di Agata, uccisa nel 1916, il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro conferì nel 1997 la medaglia d’oro al valor militare. La guerra ha inghiottito la vita di tante donne coraggiose, totalmente votate al fronte ed il cui sguardo andava continuamente verso quelle cime perché lì combattevano i loro uomini e lì sentivano di dover andare. La Storia si è dimenticata di loro per molto tempo, ma Ilaria Tuti ne restituisce il ricordo con uno stile potente, evocativo e poetico.